Il nome di Jay Vine è probabilmente sconosciuto, pure ai più accaniti appassionati di ciclismo che non si perdono nemmeno una tappa del Tour de Limousine oppure di chi conosce a memoria l’albo d’oro del Trofeo Matteotti. La reazione d’incredulità è più che comprensibile considerato che il giovane australiano è approdato allo sport professionistico soltanto da poco più di un anno.
Il 26enne nativo di Townsville rappresenta tuttavia un esempio perfetto per spiegare come il ciclismo stia cambiando, o forse per certi versi, sia tornato indietro. Vincendo due tappe nella Vuelta di Spagna attualmente in corso, Vine ha dimostrato come si possa raggiungere il sogno di diventare un membro dell’élite mondiale senza passare dalle categorie giovanili, ma semplicemente mettendosi in mostra il proprio talento in altre maniere, dal calcio a Zwift.
Qualcuno potrebbe obiettare che di storie di campioni giunti alla bicicletta in tarda età ve ne sono diverse, da Bernard Hinault che incrociò la strada del successo a sedici anni nella categoria allievi, a Jean-Christophe Péraud, giunto nel settore della mountain bike a ventinove anni e passato professionista su strada a trentatré anni dopo vinto a sorpresa da dilettante i Campionati Francesi a cronometro nel 2010.
Queste storie sono state tuttavia soppiantate da quelle dei campioni di oggi che vengono spesso svezzati in altre discipline prima di giungere al grande salto fra le due ruote. Vine è probabilmente l’ultimo esempio considerato il suo avvicinamento al movimento ciclistico avvenuto nel 2018 all’età di ventitrè anni. Un assaggio avvenuto nelle gare amatoriali prima di esser notato dalla Nero Bianchi, una continental australiana che gli regalò le prime vittorie su strada. I numerosi incendi che investirono la grande isola oceanica nel 2019 costrinse Vine a cambiare programma e iniziare ad allenarsi sui rulli, un’abitudine che diverrà quotidianità con la comparsa del Covid e il rischio di cancellare il sogno di trasformare il ciclismo in lavoro.
Quando la sfortuna sembrava averla fatta da padrona e l’umanità sembrava non vedere la luce in fondo al tunnel, un colpo del destino cambiò la vita a Vine. Nel 2020 infatti Alpecin decise di organizzare su Zwift una competizione nella quale veniva messo in palio un contratto di un anno con la squadra per coloro che sarebbero riusciti a vincerla. A fronte di tale premio, il corridore australiano decise di non farsi scappare l’occasione trionfando nettamente e sbalordendo i tecnici di Mathieu Van der Poel e compagni. Un’affermazione di prestigio a cui sono seguite il primo titolo mondiale E-Sport messo in palio dall’UCI, il secondo posto al Giro di Turchia nel 2021 e le due frazioni alla Vuelta che lo hanno reso celebre al grande pubblico.
Rimanendo in terra iberica non si può citare Remco Evenepoel, leader indiscusso della corsa amarillo e capitano della Nazionale Belga di calcio Under 16. Dopo esser entrato a soli cinque anni nel vivaio dell’Anderlecht, il terzino sinistro nativo di Schepdaal apparve subito un predestinato passando a undici anni all’Accademia giovanile del PSV Eindhoven. Rientrato tre anni dopo in patria prima all’Anderlecht e poi al Malines, Evenepoel divenne una colonna portante della propria nazionale dovendosi fermare a causa di un infortunio e prendendo così la via intrapresa dal padre Patrick.
Non serve aggiungere altro quanto accaduto dopo il debutto dell’alfiere della Deceunick-Quick Step fra gli juniores, lo conoscete tutti così come quanto ha compiuto in bicicletta il suo principale rivale sulle strade di Spagna, Primoz Roglic. Come per Evenepoel, il fuoriclasse sloveno è approdato a questo settore dopo aver fatto scintille in un’altra disciplina e aver subito un infortunio, ben più grave del collega tanto da rischiare la vita. Campione del mondo juniores a squadre di salto con gli sci nel gennaio 2007 a Tarvisio, due mesi dopo Roglic pagherà a caro prezzo le bizze del vento perdendo il controllo del mezzo e cadendo malamente tanto da perdere i sensi. Quella scivolata non gli impedirà di tornare sugli sci, tuttavia l’incontro con la bicicletta sarà fatale per condurlo quattro anni dopo a cambiare percorso e diventare campione olimpico di ciclismo.
Incidenti e problemi fisici hanno regalato alle due ruote un altro talento cristallino come Michael Woods, passato dalle piste dell’atletica leggera alle strade dei circuiti iridati. L’esperto canadese si disimpegnò egregiamente con le scarpe chiodate cogliendo il nono posto sui 3000 metri ai Mondiali Under 18 di Sherbrooke 2003 e il settimo l’anno successivo a Grosseto sulla distanza dimezzata. Prestazioni pregevoli che non passarono inosservate nemmeno a livello mondiale complice il 3’57″87 firmato nel 2006 sul miglio (nono miglior tempo globale a livello indoor) e il personale di 3’39″37 sui 1500 ottenuto a 19 anni. Le fratture da stress patite al piede sinistro e i conseguenti interventi chirurgici costrinsero Woods a lasciare l’atletica e saltare in sella dove coglierà fra le altre cose un bronzo ai Mondiali di Innsbruck 2018.
Ultimo in ordine cronologico, ma non d’importanza è il caso di Lorenzo Milesi, promessa del ciclismo italiano e recente vincitore dell’ultima tappa del Tour de l’Avenir. Cronomen di spessore affezionato alle salite, il 20enne di San Giovanni Bianco è salito in bicicletta nel 2018 dopo essersi rotto i legamenti in una partita di calcio con la maglia del San Pellegrino Terme. Quella gara disputata con la casacca del Pedale Brembillese a Nembro gli ha cambiato la vita, approdando così da juniores alla corte di Marco Taddeo nell’alveo della Ciclistica Trevigliese e spiccando il volo verso l’Olanda dove ora incanta con i colori del Team DSM fra gli Under 23. Il professionismo è ancora lontano, ma se le premesse verranno rispettate, il movimento tricolore potrà finalmente vantarsi di quel “campioncino” che manca da tempo.
E’ difficile dire dove andrà il ciclismo nei prossimi anni, se le categorie giovanili avranno ancora importanza oppure verrà favorito la “multidisciplinarietà”. Seguendo questi esempi è impossibile non notare come questo sport si stia aprendo ad altri settori e, nonostante il passaggio al professionismo appaia sempre più precoce, il primo colpo agonistico di pedale potrebbe ritardare sempre di più.
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