Quella di Marco Pantani è una storia che non ci parla soltanto di sport, passione, coraggio, ma che mette anche in evidenza i caratteri di un uomo e le vicissitudini che il tormentato percorso della vita pone di fronte al nostro cammino, il desiderio e la paura che attanagliano lo spirito tra gloria e tormento, tra il sentimento della libertà e gli oscuri misteri di una tappa ancora con il punto di domanda. Un giro a Spazio Pantani, il museo nato dalla volontà della famiglia e del comune di Cesenatico per ricordare Marco, ci mostra il volto di un uomo aperto alla vita. Usava la bicicletta inizialmente in modo saltuario, amava i motori, si dilettava nella pesca e nella caccia, tifoso del Milan. Tutte attività praticate per scoprire a cosa la vita lo avesse destinato, la risposta venne ben presto: il Ciclismo.
“E mi rialzo sui pedali”
Pantani aveva un animo sensibile accompagnato dalla serietà e dalla professionalità che è possibile rinvenire proprio all’interno delle sue interviste. Quello che aveva da dire lo esprimeva senza girarci troppo intorno, quasi in un rapporto di amore con le parole, lo stesso che aveva con la sua bicicletta. Mortirolo, Alpe d’Huez e Bocchetta le salite che mostrarono al mondo la vena ciclistica del “Pirata”. Questo fino a quel giorno del 1999 a Madonna di Campiglio nel quale vennero riscontrati all’atleta dei valori elevati di ematocrito. Da lì iniziò la salita più dura che Marco dovette affrontare. “Ho perso la mia voglia di essere, come tanti altri sportivi”, parole rinvenute tra le carte che gli inquirenti trovarono nel Residence “Le Rose” di Rimini la sera del 14 febbraio 2004, quando la vita di Marco si spense nel giorno in cui si celebra la più alta manifestazione sensitiva degli uomini. Marco ci ha lasciato proprio questo, l’espressione diretta del sentimento della passione.
Il tributo a Marco Pantani di un tifoso sul Passo Fedaia durante il Giro d’Italia 2020
Proviamo noi stessi a porci questa domanda: “Qual è la mia passione?”. Credo che per molti sia difficile trovare una risposta perché, si badi bene, passione non coincide con hobby. Una passione può aprirci il cuore, così fragile, che bruciando genera la fiamma del desiderio avvolgendoci nel calore di un’emozione. Marco, o meglio il pirata perché tutti lo conosciamo così, era in grado di suscitare una forte attrazione nei confronti del pubblico. Basti pensare all’attesa del lancio della bandana: un gesto che, quasi sempre, preannunciava l’arrivo di un attacco. Quali sensazioni potevano scuotere l’animo del ciclista quando, lungo le strade, si sentiva chiamare da una gremita folla di persone giunte in cima alle salite per vedere il Pirata. Perché il ciclismo è questo, uno sport di altri tempi, per persone di altri tempi. Nell’era del trionfo del digitale, poter tornare sulle strade, fermarsi sul ciglio di un tornante e vedere ciclisti amatoriali che tentano l’impresa di scalare le montagne dei loro eroi, il profumo del vento e dell’attesa, lì seduti per gustarsi quei pochi attimi di umana manifestazione.
Tra passato e presente
Abituati e ormai immersi nella rapidità delle informazioni, nella comoda fruibilità proveniente dal digitale, l’attesa si pone come un elemento lontano dalla nostra esistenza. Contiamo minuti e ore nel nostro roteare quotidiano tra le lancette, nel nostro immergerci in una dimensione iper-calcolatrice e iper-matematicizzata, smarrendo lo spirito dell’essere noi stessi la nostra durata. Il ciclismo, e Marco Pantani “Il Pirata”, ci pongono di fronte proprio la possibilità di recuperare il gusto dell’attesa seduti su un prato, al caldo sole primaverile, nell’attesa del transito, iscritto nei secondi, di ruote in movimento.
Marco Pantani in azione durante la sedicesima tappa del Tour de France 1998
Nella misura in cui si pone l’impossibilità di assistere dal vivo, eccoci lì, davanti alla tv, con gli occhi rivolti allo scorrere di immagini che ci mostrano l’essenza del ciclismo. Una buca, una curva sbagliata, una borraccia che rotola sull’asfalto, la perdita di aderenza, il colpo di scena nella frazione di un secondo che tutto può cambiare, una caduta i cui effetti andranno scontati nei giorni successivi. Nel ciclismo non esistono sostituzioni durante una corsa, se non per i mezzi tecnici e, talvolta, spingere sui pedali fino all’arrivo può diventare una vera sofferenza. Passione, brivido lento che scorre sulla schiena, eterno scorrere sull’asfalto al suono di un respiro affannato.
Immagine in evidenza a cura di Riccardo Seghizzi
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