Vittoria: emozioni a nudo
25 febbraio, Francia-Italia: Mezzo pieno? No, il bicchiere è mezzo vuoto. Oddio, c’è l’aria; il bicchiere è sempre pieno! No dai, al diavolo l’empirismo, ragiona… 13-13… Sì, è mezzo pieno! Nah, era un incontro da portare a casa. Cielo, non capisco. Perché non riesco a intendere? Perché non si parla di un incontro dalle grandi emozioni, ma di semplice rimorso? Certo, le ingenuità dei francesi, la discutibile direzione arbitrale, ma anche l’incommensurabile spinta emotiva degli azzurri, solidi fino in fondo, coraggiosi come mai prima d’ora: è una grande prova del XV ovale! Però… Paolo Garbisi ha sbagliato. Oh mamma, cosa provo? Tormento? Semplice rammarico. Ma perché non liberarsi da questo? “Finale ingiusto”, “doveva ribattere il calcio”, “arbitro incompetente”; il match si è comunque concluso pari, non è forse un grande risultato? Non credo di poterlo affermare con certezza.
9 marzo, Italia-Scozia: Vittoria? Impossibile, solo immaginazione. Ma cos’è? Sento… un’energia. Viene dal basso. Vibra tutto. Terremoto? Lampadario immobile. Televisione? Muta. Perché ho le braccia alzate? Non riesco a frenarle, si muovono da sole, come a esultare. Abbiamo vinto davvero? Ma questa non era la Scozia delle sorprese, la prima a concorrere al titolo dopo l’Irlanda? Ora tornano le immagini. 31-29, Michele Lamaro piange… ma sto piangendo anch’io, è tutto vero! Momento, ma allora la palla scivolata a Garbisi? La straripante maul scozzese? Il gioco al piede di Finn Russell? Gli assurdi giudizi di Angus Gardner nel breakdown? Abbiamo vinto… Conta davvero tutto questo? Ora sì che la pinta scende!
16 marzo, Galles-Italia: Due mete. Quattro penalty. Due mete. Due. Due… vittorie. Due sconfitte. Pareggio. Due vittorie, un pareggio. Sconfitto il Galles. A casa loro. Come due anni fa. Oppure no? Perché non sto gridando? Sono… scarico. Sarò cambiato io? O sono cambiati loro? Perché Garbisi non è a terra a piangere? Ora che siamo forti. Oddio… siamo più forti. Migliori di loro. Oggi abbiamo dominato. Questo è! Abbiamo giocato meglio di loro! Bicchiere vuoto? Da riempire, subito!
25 anni (e sentirli eccome!)
Ego coniugo vos in matrimonium! Così s’era conclusa (più o meno) quella celebre riunione a Parigi nel gennaio del 1998, consacrante un meraviglioso sposalizio tra l’Italrugby e il comitato delle Cinque Nazioni. Grande momento di gioia, dichiarava l’allora presidente federale Giancarlo Dondi… Come biasimarlo! Chi mai qualche anno prima avrebbe potuto immaginare una cosa del genere?
L’Italia del 2000 che disputa il suo primo torneo
Quella da poco conclusa è stata la 25esima edizione del Sei Nazioni sotto questo formato, la 130esima da quando fu istituito come Home Championship, uno dei tornei sportivi internazionali più antichi della storia. Nel 2000 tutto sembrava possibile, ma la realtà prospettò un inevitabile periodo di stasi. Qualche picco particolare dal 2007 al 2013, poi letteralmente un’ecatombe, un limite finito per “x” tendente a meno infinito. Calcoli sbagliati? Improvvida gestione dei fondi federali? Sicuramente ci si poteva comportare in maniera differente, ma, d’altro canto, è facile processare sdegnosamente un passato poco glorioso…
Un’impresa: come volare…
Avete mai viaggiato in aereo? Sì? Davvero? Sia di giorno che di notte? Badate bene, c’è una differenza abissale. Meglio l’uno o l’altro? Personalmente mi ha sempre affascinato volare col buio: quello spettro all’apparenza cupo, banalmente monotono, al di fuori dell’apparecchio alluminico volatile, assume una connotazione idillica, quasi sublime. E di giorno? Beh, affacciarsi e fantasticare su una indefinita pletora di nuvole è un’esperienza impagabile: dall’alto di un finestrino (finestra sul mondo), talvolta sembra di stare in paradiso.
Tommaso Menoncello che si appresta ad esultare come Cristiano Ronaldo dopo la meta a Cardiff
Ora però tornate indietro. Immaginate il momento del decollo. Gli edifici circostanti prima appaiono piatti, poi assumono tridimensionalità. Tuttavia di notte è difficile notare il reale spessore degli stessi. Sì, siamo in grado di distinguerli con cognizione di causa, ma questo punto di vista non risulta pienamente appagante. Al contrario, sotto la luce del sole è possibile ammirare distintamente ogni importante monumento, ogni singolo dettaglio che porta a esclamare “‘mazza, che belezza!”. Questo torneo in effetti può essere visto come voli di orari differenti: mentre i primi due incontri hanno lasciato al buio alcuni aspetti esaltanti (nonostante il distacco minimo nella sconfitta con l’Inghilterra), i tre risultati utili hanno rivelato al meglio la nuova profondità italiana, una nuova dimensione per la squadra azzurra, che mai è stata pienamente colma di giocatori talentuosi, malgrado permangano dei ruoli da saturare appieno (*cof cof* la mediana *cof cof*).
Futuro incerto? Macché…
Pensare che Tommaso Allan si sia ritirato dalla nazionale dopo l’incontro di Dublino oggi sì che fa specie (anche per quel maledetto palo di Lione!). Impressiona ancor di più la passività con cui, allo stato attuale, passerebbe una notizia così. Ormai non ci si preoccupa più di tanto. Non solo per i risultati ottenuti (e le prestazioni messe in atto), ma anche per le generazioni future di titolari. È mancato pochissimo alla rappresentativa under-20 per ottenere tre successi e il terzo posto (risultati raggiunti singolarmente nel 2022 e nel 2023), ma ormai appare lampante come gli sforzi degli ultimi anni, dapprima nelle accademie e ora nei centri di formazione, siano stati ripagati con tassi d’interesse da Swiss Bank. Tanto il merito di Massimo Brunello, dal 2020 alla guida degli azzurrini, che ha basato il proprio gioco proprio sui grandi punti di forza dei ragazzi: la potenza straripante della mischia e l’esplosività del reparto arretrato in velocità. Certo, la lucidità può venir meno, ma il grande merito dei nostri draghetti è il riuscire a resettarsi in maniera quasi istantanea dopo ogni momento avverso. Ovviamente lo stesso discorso vale per le formazioni di età inferiori, seppur meno costanti.
L’errore da non commettere? Non bisogna tornare indietro. È necessario mantenere al meglio i rapporti tra franchigie e squadre di campionato, non solo col perbenistico fine di concedere il minutaggio minimo e indispensabile, ma con l’intento concreto di far vivere un’esperienza il più formativa possibile, professionalmente e umanamente parlando. Insomma, non sono solo numeri da sfruttare per aggiungere qualche zero al bilancio federale, bensì giovani che trascorrono gli anni migliori della propria esistenza; la più grande ricchezza che c’è, da curare e preservare al meglio. Così come la rappresentativa femminile, sconfitta domenica dalla corazzata inglese (in 14 per 70 minuti). Va sempre più messa in risalto: è una parte del movimento che in anni di sofferenza generale ha regalato gioie importantissime. Mai dimenticare.
In parole spicciole
Credo che il reale pregio dell’Italrugby di questo torneo sia stato mettere in luce le proprie capacità: la solidità difensiva, l’organizzazione palla in mano, ma anche la grinta che serve per dominare nel breakdown sul Galles, o a contrastare il pacchetto di mischia francese (100 migliaia di grammi più imponente del nostro) o ancora, a costruire ogni azione convertita in punti sul tabellone; azioni ragionate, non semplicemente nate dal caso, come le tre mete commentate dal prima citato Dick Greenwood in Scozia 17 anni fa, sempre ben accette, ma non considerabili pienamente appaganti. Un encomio particolare va all’ex commissario tecnico Kieran Crowley, capace di farci tornare a vincere, ma anche a Franco Smith, il primo ad aver messo in campo i protagonisti di oggi. Tuttavia l’impatto che Gonzalo Quesada ha avuto sul gruppo non è trascurabile: è più di un buon allenatore, è l’uomo che per molto tempo ricorderemo come artefice di tutto questo.
La domanda sorge spontanea: possiamo definirci soddisfatti? Ovviamente no. 25 anni di storia in questa competizione così prestigiosa e non si riesce ad arrivare alla media di una vittoria per edizione. C’è chi dice “la Francia ha impiegato 40 anni circa per diventare competitiva” (anche se di mezzo ci sono state due guerre mondiali e 20 anni di esclusione). Siamo come loro? No. Siamo semplicemente l’Italia. Siamo la realtà che più di tutte le altre compagini continentali (sebbene il livello sia sempre più alto in Europa) si merita di fregiarsi del titolo di una delle sei nazioni. Quella più perdente? Sicuramente. Ma anche la nazionale con più carica, con più voglia di dimostrare il proprio valore. Ed oggi valiamo, mai come prima. Quindi perché non compiacersi? Riprendendo le parole del capitano Lamaro, “la mia felicità arriverà quando faremo il grande slam”. Riusciremo ad assistere a quel momento? Impossibile dirlo con certezza. Però di una cosa sono certo: questa squadra doveva vincere. Così è stato. Così sarà. Per molto, molto tempo.
Immagine in evidenza a cura di Riccardo Seghizzi
Comments