Al momento di pagarli, pensavo che quelli che stavo comprando fossero semplicemente i biglietti per il Gran Premio d’Italia di Misano Adriatico. Ne sono stata convinta fino a quando non ho messo piede nel circuito: solo in quel momento ho compreso di aver sottostimato il mio acquisto.
Non solo perché volenti o nolenti vedere un evento sportivo dal vivo è un’esperienza differente dal vederlo dal divano, ma per l’atmosfera particolare che si è respirata a Misano e in Romagna per tutto il weekend.
La Gara
Eppure in pista le emozioni non siano mancate. Moto3 e Moto2 continuano a ricordarmi cosa mi perdo a non seguirle con continuità, grazie alla loro imprevedibilità. In Moto3 abbiamo assistito ad una rimonta con vittoria dal quattordicesimo posto ad opera di Dennis Foggia. Anche la Moto2 ha regalato una grande rimonta di Marco Bezzecchi, che però non si è concretizzata in un podio a causa di una caduta a tre giri dal termine.
La MotoGp, invece, ha sancito la vittoria del primo mondiale di Fabio Quartararo e il possibile ritorno del Marquez imprendibile, alla sua terza vittoria stagionale. Lo spagnolo sembra tornato alla specialità della casa: la fuga, anche se in questo caso era in compagnia di Bagnaia. Il piemontese ha però consegnato la gara allo spagnolo e il titolo al francese cadendo a pochi giri dal termine. Ma in un certo senso, tutta questa azione è passata in secondo piano.
Il Grande addio
Sì, perché il Gran Premio di Misano è stato l’ultima gara italiana di Valentino Rossi, un personaggio che non si può ancora (a patto che mai si potrà farlo) separare completamente dallo sport di cui è stato protagonista negli ultimi 25 anni. Pochi altri atleti riescono a polarizzare l’opinione dei tifosi come ha fatto lui, con continui dibattiti tra fan e detrattori.
Da non tifosa, ho sempre trovato curioso il rapporto tra Valentino e i suoi tifosi. Quella devozione che rischia di sfociare nel fanatismo e che fa sì che la sua presenza sia una motivazione sufficiente per affrontare chilometri e traffico “solo” per vedere un gran premio dal vivo. Era comprensibile quando Valentino era all’apice della carriera, ma il fatto che questo non sia cambiato negli ultimi anni nonostante il suo declino e la contemporanea ascesa di altri piloti mi ha spinta a farmi qualche domanda.
I parametri del successo
Se, nel giorno in cui un altro ragazzino con l’aura da predestinato vince il suo primo Mondiale, la notizia principale rimane l’ultima gara di Rossi nel circuito “di casa”, l’unica spiegazione plausibile è il fatto che la parola successo nello sport non ha un significato universale e misurabile, neanche in un ambito apparentemente facile come quello degli sport individuali.
Basiamo tutto su parametri semplici da interpretare, analizzare e ricordare, come le gare e i campionati vinti, ma questi numeri non catturano tutte le sfaccettature delle storie sportive. Si dice spesso che “la palla è rotonda” quando si vuole intendere che non ci sono risultati scritti in partenza o prevedibili in modo deterministico, e se andiamo a vedere anche le ruote della moto sono rotonde
L’eredità dei campioni
Per questo nessun numero basterà mai per spiegare ciò che è stato Rossi per il motociclismo. O meglio, possono spiegare il suo successo in pista e quegli anni in cui sembrava impossibile toglierlo dal primo gradino del podio. Ma il modo in cui ha costruito il proprio personaggio, il rapporto che ha stabilito con i tifosi, quello non è misurabile.
Di sicuro il dato numerico, quel numero in cifra singola nella casella dei mondiali vinti brucia e rimarrà un rimpianto bello grosso, per lui e per i suoi tifosi, ma viene spontaneo chiedersi se l’eredità che lascia non sia più importante e duratura di una o due coppe in più in bacheca.
E forse sarebbe anche il caso di renderci conto che le classifiche assolute e le domande su chi sia stato “il migliore di tutti i tempi” non possono essere più che spunti di discussione ma che non si raggiungerà mai una risposta universale. Lo sport ci appassiona proprio per questo.
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