A ruota libera

Come nascono i talenti sportivi in Croazia: un sistema totalmente differente da quello italiano

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Come è spiegabile che una piccola nazione di sei milioni di abitanti e un potenziale economico ridicolmente più basso arrivi a un canestro dall’eliminare alle Olimpiadi il Dream Team Usa più forte di tutti i tempi? Da dove arrivano fenomeni come Marin Cilic e Goran Ivanisevic nel tennis, i fratelli Kostelic nello sci, Blanka Vlašić e Sandra Perković (ora Elkasević) nell’atletica, il pallone d’oro Luka ModricDražen Petrović e tanti altri.

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Come nascono pallanuotisti che arrivano a giocarsi la medaglia d’oro olimpica in un derby Croazia-Serbia? Come può arrivare la Croazia (3,5 milioni di abitanti) a una finale dei Mondiali di calcio nel 2018 e bissarla con un terzo posto quattro anni più tardi senza avere praticamente una squadra di club degna di questo nome a livello internazionale? Gli esempi sono veramente tanti… tanti che diventa difficile associarli alla casualità.

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Italia e Croazia: due modi diversi di vedere lo sport

“Deve essere una cosa genetica”. “Sicuramente è un popolo molto portato per lo sport”. Quante volte abbiamo sentito frasi di questo tipo riferite ai risultati sportivi degli atleti di Croazia o Serbia? In realtà la spiegazione esiste eccome

Se paragoniamo il sistema sportivo italiano a quello croato notiamo immediatamente differenze abissali. L’Italia è un Paese molto più ricco, che offre, soprattutto in alcune aree, qualunque tipo di opportunità: scuole di alto livello, università, opportunità lavorative in diversi ambiti, anche internazionali; lo sport viene visto attraverso due prospettive completamente opposte: lo sport ricreativo, di cui fanno parte la pletora di scuole calcio, judo, tennis, basket, pallavolo ecc. che rappresentano l’ideale parcheggio per i ragazzini dalle scuole elementari a quelle superiori; e lo sport agonistico che è riservato ai pochi eletti che entrano sotto la protezione delle varie Federazioni o, nel caso degli sport individuali, a nutrire uno dei corpi delle forze armate dotati di squadre sportive, dalla Polizia alla Finanza, dove uno stipendio garantito permette all’atleta di potersi allenare con costanza e preparare i grandi appuntamenti. 

Milioni di ragazzine e ragazzini appartenenti alla categoria ricreativa frequentano corsi i cui costi variano fra i 1000 e i 1500 euro all’anno per un paio di orette settimanali e che danno lavoro in egual misura a Maestri e babysitter d’accompagnamento. In Italia è assolutamente normale giocare a basket il lunedì, fare judo il martedì e avere il corso di tennis il giovedì.

Un Paese come la Croazia, molto più povero e dove le possibilità di crescita individuale sono infinitamente inferiori rispetto all’Italia, vede nello sport una possibilità di affermazione sociale a livello individuale e di prestigio per la Nazione; dunque lo sport non è più attività ricreativa ma diventa una vera e propria scelta di vita, perché praticare uno sport richiede già da bambini sacrifici importanti con allenamenti costanti e giornalieri.

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Lo sport è accessibile a tutti i giovani perché viene sovvenzionato dallo Stato a ogni livello e praticarlo ha un costo di circa 10 volte inferiore rispetto all’Italia. Con circa 150 euro all’anno, trasferte comprese, un ragazzo può praticare uno sport agonistico per tutto l’anno. Ne consegue che la percentuale di studenti che praticano sport è altissima con ricadute positive evidenti sulla salute pubblica. Passeggiando per Zagabria salta all’occhio che i problemi di obesità giovanile, ad esempio, sono quasi inesistenti.

A differenza di ciò che accade nel nostro Paese si pratica uno sport solo; ci si allena tutti i giorni in orari che vanno alle 18 alle 22. Il sabato e la domenica sono dedicati alle competizioni. Immaginate ora una ragazzina che fa tuffi, tennis, ginnastica o boxe e si allena tutti i giorni per 4 ore; improvvisamente il palco di quei 3,5 milioni di abitanti da cui attingere diventa gigantesco, nessun talento o quasi viene perso o sprecato. E anche chi non diventerà un professionista avrà la possibilità di praticare sport ai massimi livelli per tutto il proprio percorso scolastico.

Chi ha dei figli in questo momento si starà facendo una domanda: ma questi ragazzi quando studiano? 

E forse è proprio il sistema scolastico il punto che differenzia maggiormente la visione dello sport tra Italia e Croazia. Non è bello sottolinearlo ma ancora oggi praticare uno sport in Italia viene visto come una distrazione dallo studio e un innato sadismo dei professori porta a volte ad autentici atteggiamenti punitivi verso chi non ha potuto studiare perché il sabato e la domenica era impegnato a gareggiare. Non si può generalizzare, ovviamente, ma è innegabile che il conflitto fra studio e sport esista eccome.

In Croazia praticamente tutte le scuole superiori hanno una o due classi dedicate esclusivamente a chi fa sport e ha raggiunto risultati a livello nazionale; gli sport vengono divisi in tre categorie di importanza: nella prima rientrano sport “nazionali” come calcio, tennis, basket pallamano, pallanuoto, atletica, nella seconda sport internazionali come rugby o boxe, nella terza gli sport di nicchia come il football americano. Ai ragazzi che praticano sport viene assegnato un punteggio annuale che è dato dai risultati raggiunti moltiplicati per il coefficiente dello sport praticato; se si ha un punteggio adeguato si rientra nelle classi dedicate ai giovani atleti; il programma scolastico è lo stesso ma le interrogazioni e le verifiche sono programmate e le assenze per competizioni vengono giustificate automaticamente. 

Non si può dire, e non vorrei nemmeno farlo, cosa sia meglio. Sicuramente quello croato non è un sistema facilmente importabile per via di una gestione che forse può funzionare solo in una piccola nazione, e vi sono vantaggi e svantaggi in entrambi i casi; da un certo punto di vista è bello che un ragazzino italiano possa praticare diversi sport vivendoli come un momento di svago più che un’attività fisica vera e propria. L’agonismo è molto meno esasperato (quasi inesistente in molti casi); tutti pagano la retta e tutti hanno diritto di giocare e divertirsi.

In Croazia lo sport è visto in funzione della competizione. Ci si allena per partecipare a gare campionati e tornei. Gli allenatori e le allenatrici che ho avuto modo di conoscere, avendo una figlia che praticava tuffi e un figlio che pratica boxe, sono sempre disponibili e seguono i ragazzi da vicino. Gli allenatori comunicano con i ragazzi su chat di gruppo, consigliano un’alimentazione corretta, il giusto numero di ore di sonno, redarguiscono chi non consegue risultati decenti a scuola. Se il ragazzo salta un paio di allenamenti, si informano se per caso ci sia qualche problema. Questo indipendentemente dalla bravura dell’atleta e dai risultati conseguiti. Perché alla fine il punto più importante è che si può fare sport agonistico senza necessariamente diventare campioni: allenarsi, essere fisicamente preparati, vincere e perdere e costruirsi ricordi e sensazioni che rimarranno per tutta la vita. Lo sport ad un certo livello richiede grandi sacrifici, fatica fisica e mentale, accettazione delle inevitabili sconfitte. Chi lo pratica ne avrà benefici anche nella propria futura vita da adulto.

Chiudo con un esempio che forse riassume questa filosofia. Abitando in Croazia da qualche anno ho conosciuto una famiglia il cui figlio ha praticato nuoto, allenandosi tutti i giorni dalle 5.30 alle 7.30 del mattino, tutte le mattine prima della scuola, e dalle 17 alle 19 nel pomeriggio, tutti i pomeriggi della settimana. Pur avendo tempi importanti non si è mai avvicinato a livelli da competizioni internazionali, ma ha potuto concludere senza traumi o bocciature il proprio percorso scolastico. Alla fine del liceo ha ottenuto una borsa di studio come atleta per un’università americana che ha una squadra di nuoto (e una retta che ovviamente la famiglia non avrebbe mai potuto permettersi). Si è laureato, ha trovato un lavoro negli Stati Uniti e oggi è un manager di successo. Tutto solo grazie al fatto di essere nato in un Paese che gli ha permesso di praticare il proprio sport con passione, anche pur non essendo un campione e provenendo da una famiglia di certo non economicamente benestante. Ecco, credo che una storia come questa in Italia non possa esistere.

Immagine in evidenza: © Olympics, X

Enrico Fraviga

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