Questa domenica andrà in scena la seconda gara del back to back sull’asfalto di Silverstone, un tracciato dall’immenso valore instrinseco che ogni tanto va fatto riemergere e riassaporare.
Ci sarebbero una miriade di spunti da cui partire. Per esempio, il fatto che proprio qui si è svolta la prima gara iridata della storia, vinta dall’italiano Nino Farina, a bordo della connazionale Alfa Romeo. Un trionfo tutto tricolore che si estese alla vittoria del primo Campionato del Mondo di Formula 1.
Sempre parlando delle fortune italiane in Inghilterra, nella seconda edizione iridata Josè Froilàn Gonzalez portò per la prima e storica volta sul gradino più alto del podio il marchio Ferrari. Il Cavallino, attualmente, detiene il maggior numero di vittorie nel Gran Premio di Gran Bretagna.
Una corsa che ha sempre mantenuto il suo fascino, nonostante la sede sia più volte cambiata nel corso degli anni. Il testimone è passato, in alcune occasioni, al mitico tracciato di Brands Hatch, o a quello di Aintree – forse più sconosciuto ai tifosi meno navigati.
Il lay-out stesso di Silverstone ha subito nel tempo varie modifiche, che tuttavia non hanno interrotto quel filo magico che si protrae da settant’anni a questa parte.
Già, settant’anni. Durante i quali se ne sono viste di tutti colori: domini, gare pazze, vittorie memorabili, colpi di scena, pure invasori di pista (impossibile non ricordarsi della scena grottesca del 2003, per quanto pericolosa).
Probabilmente parliamo del circuito che forse più esalta non solo le doti velocistiche, ma soprattutto battagliere, dei piloti.
Uno scenario simil medievale in cui a sfidarsi sono cavalieri, ancor prima che piloti. Cavalieri che combattono con rispetto e noncuranza del rischio, in cui la posta in palio è principalmente l’onore, oltre alla gloria che ne consegue.
Silverstone è un corpo a corpo perpetuo. È sempre stato, è, e sarà sempre così.
Ancora più bello è quando sono i piloti più forti in griglia a dare spettacolo.
L’esempio lampante in merito è quello del 1987, in quello che tutt’ora rimane uno dei duelli più avvincenti e spettacolari della storia della F1, che potremmo considerare il duello simbolo di Silverstone.
Protagonista assoluto di questa gara fu il beniamino di casa, Nigel Mansell. Uno dei piloti più amati di sempre, per la sua incredibile velocità in qualifica, per la capacità di saper portare al limite la vettura; per alcune sue doti caratteriali, in primis tenacia e combattività. E, soprattutto, per le grandi capacità di passatore.
Un pilota che, escluso il mondiale conquistato nel 1992, è stato condizionato da alcuni eventi sfavorevoli, che hanno limitato un palmares che poteva essere più ampio, per la continuità mostrata nel corso della pur gloriosa carriera.
Se si esclude la breve e non troppo fortunata parentesi biennale con la Ferrari, la fama di Mansell deriva soprattutto dagli anni in Williams. Una Williams che, al contrario di quanto accade attualmente, a cavallo tra gli anni 80/90 era il sogno della maggior parte dei piloti. Tanto da spingere anche un campionissimo come Alain Prost (con cui tra l’altro Mansell ebbe una controversa rivalità all’interno del box Ferrari nel 1990) a prendersi un anno sabbatico per raggiungere il quarto titolo nel 1993, anno dopo la gemma di Nigel.
Dunque, pilota e macchina britannici. Un connubio da sogno, ma che avrebbe ottenuto ulteriore lustro vincendo nel Gran Premio di casa. Sogno realizzatosi nel 1986, e addirittura ripetuto ben altre 3 volte: nella già citata edizione 1987 (che analizzeremo), 1991, 1992.
L’avversario di turno era il temibile compagno di team Nelson Piquet. Il pilota brasiliano a fine anno sarebbe stato campione del mondo (tre titoli in totale a fine carriera), complice soprattutto l’incidente occorso al compagno Nigel durante le prove libere del penultimo appuntamento stagionale in Giappone, a causa del quale avrebbe dovuto terminare la stagione in anticipo – a proposito delle succitate sfortune.
Le qualifiche, come da pronostico, furono dominate dalle Williams, che monopolizzarono la prima fila, con Nelson in Pole davanti al “Leone d’Inghilterra“.
I due furono impegnati in un serrato duello che si protrasse per tutta la gara, al punto da fare corsa a sé, con Piquet in testa e Mansell a inseguire.
Il culmine del duello arrivò a tre tornate dal termine.
Antefatto: al 12º giro Mansell cominciò a soffrire di una perdita di pressione agli pneumatici e iniziò a perdere terreno dal compagno di squadra; al 36º giro l’inglese era distante cinque secondi da Piquet ed ancora alle prese con le vibrazioni causate dal problema alle gomme. Entrambe le Williams avrebbero dovuto concludere la gara senza un cambio-gomme. Tuttavia, a causa del progressivo peggioramento del problema di pressione e del buon vantaggio sulla terza posizione di Ayrton Senna, Mansell e il team decisero di cambiare strategia per risolvere il problema. Il britannico riprese la gara con 29 secondi di distacco da Piquet e 28 giri rimasti. Con gomme nuove e più efficaci rispetto a quelle del compagno di squadra, Mansell fu autore di un’epica rimonta, facendo segnare un susseguirsi di giri veloci. Al 58º giro l’inglese fece segnare l’ennesimo tempo record, che gli permise di raggiungere Piquet.
Ed eccoci al momento clou.
Un giro più avanti, Mansell prese la scia del brasiliano sul rettilineo Hangar; fece una finta a sinistra, ingannando Nelson, che si protesse correggendo la traiettoria nella medesima direzione; Nigel lo infilò secco, a destra, nella staccata della Stowe.
Un sorpasso che passò alla storia con il nome di Silverstone Two Step, a sottolineare la doppia manovra dell’inglese. Un sorpasso capolavoro, che ha fatto scuola per le successive generazioni di piloti, a testimonianza del talento cristallino dell’idolo di casa, il quale, subito dopo aver tagliato il traguardo da vincitore, esaurì la benzina e fu assalito dalla folla in festa.
Una delle scene più belle di sempre nella storia di questo sport.
Questo è il teatro di Silverstone.
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