Sono in tanti a ritenere che gli eventi drammatici avvenuti in casa Ferrari nel corso della stagione 1982 siano in qualche modo frutto dello strappo tra Villeneuve e Pironi, in quella che, fa strano dirlo, a conti fatti divenne nota come la maledetta doppietta imolese.
La spaccatura tuttavia non fu solo tra i piloti. Nonostante pure il povero Pironi abbia subito tragiche conseguenze in quel di Hockenheim (il quale fino a quel momento era pienamente in lizza per la conquista del titolo), il tifo ferrarista fu quasi unanimemente schierato dalla parte di Gilles, l’idolo delle folle, colui che con ardimento unico e irripetibile difese le insegne del Cavallino, arrivando pure a sacrificare le sue ambizioni iridate in nome della Ferrari.
Non solo Gilles si sentì tradito dopo Imola 1982. Ma in qualche modo, tutta la tifoseria si sentì derubata. Pironi era visto come la mela che aveva fatto marcire tutto l’ambiente.
Mettiamo bene in chiaro le cose, ad onor di cronaca. Pironi non poteva certo farci niente, e anzi, bisogna mettersi oggettivamente nei suoi panni, nei panni di chi sogna di avere successo in un team come quello modenese. La responsabilità al contrario semmai è più attribuibile alla squadra, incapace di stabilire delle gerarchie interne chiare.
Ma il tifo, si sa, non va sempre e per forza di pari passo con l’obiettività.
Ad ogni modo, Gilles per i ferraristi era l’anima del romanticismo Ferrari di fine anni 70 e inizio anni 80, tant’è che si parlava di Febbre Villeneuve. Al contrario, per tutti Pironi era uno qualunque, peraltro ingiustamente.
Certo è che nessuno avrebbe mai potuto rimpiazzare il franco-canadese a livello emotivo, almeno nell’immediato.
Tutto vero, ma fino ad un certo punto. Perché la rossa con la carena numero 27 sarebbe stata affidata al francese Patrick Tambay, in forza alla Ligier nel 1981. Per qualcuno magari non si trattava di un nome altisonante, ma proprio Patrick sarà destinato a scrivere una delle pagine più struggenti del Cavallino nella massima formula: parliamo di Imola 1983. Sempre qui, un anno dopo.
Tambay aveva già corso nell’82 in vece di Villeneuve, tra l’altro vincendo proprio ad Hockenheim, dove si spezzò la carriera di Pironi. Una sorta di passaggio di consegne, che fa supporre che il destino non fosse così tanto casuale.
Per la stagione seguente fu affiancato da un altro transalpino, Renè Arnoux. Proprio il co-protagonista del mitico Duello di Digione che elevò al rango di leggenda la figura sua e di Gilles, sarebbe andato ad affiancare quello che di fatto divenne il sostituto del canadese. La perfetta quadratura del cerchio, o quasi. Perché il meglio, doveva ancora arrivare.
Per la stagione corrente, i rapporti di forza in griglia vedevano lottare con costanza per la conquista delle varie tappe del mondiale la Renault e la Brabham, che rispettivamente con Alain Prost e Nelson Piquet si rivelarono sin da subito le più serie contendenti al titolo.
Ma la Ferrari poteva comunque aveva le carte in regola per dire la sua, e l’opportunità si presentò proprio sul tracciato emiliano.
La marea rossa accorse in massa, a spingere come non mai con le loro grida i loro beniamini. Qualcosa era nell’aria.
Tanto per cominciare, fu Arnoux a firmare la pole, seguito da Piquet e da Tambay. La partenza sbiadita del brasiliano infervorì la speranza per l’avvento di un qualcosa di speciale.
Dopo una fase iniziale del Gran Premio che vide in testa il duo ferrarista, emerse l’altra Brabham, quella di Riccardo Patrese, molto in forma sul terreno di casa. Col passare dei giri, superò Tambay alla variante dopo la Tamburello, per poi infilare in maniera decisa la Ferrari numero 28 di Arnoux alla Rivazza.
A quel punto, il ritmo del padovano sembrava irresistibile per i due francesi.
Ma il turno del pit stop stravolse la gerarchia del gruppo di testa, tant’è che al giro 35 la classifica recitava: Tambay, seguito da Patrese (che perse quasi mezzo minuto ai box per problemi di fissaggio della posteriore destra) e Arnoux.
La creatura di Gordon Murray aveva un passo incontenibile, tant’è che l’italiano si avvicinò sempre di più a Patrick, passandolo ai sei giri dal termine nello stesso punto dove avvenne il sorpasso nei primi giri.
Ma in maniera clamorosa, poche curve più tardi, nella sezione centrale della sequenza di curve delle Acque Minerali, una disattenzione costò a Patrese la vittoria.
Non fu esente da polemiche il trattamento per certi versi anche denigratorio che i tifosi presenti nel settore dell’uscita di pista riservarono al pilota nostrano, che, oltre il danno della vittoria mancata nel tracciato di casa, si beccò la beffa dei fischi dei connazionali.
Questo episodio sicuramente antisportivo, fu la manifestazione in qualche modo della sofferenza che il popolo ferrarista covava nell’aver perso un anno prima a Zolder il loro punto di riferimento, la ragione essenziale per incollarsi la domenica davanti al televisore. Sofferenza condita dallo stupore ed euforia generale racchiusa nella possibilità di rivedere quel 27 Rosso, stampato sulla memoria di tutti, che stava per risplendere, proprio dove, la cui luce si spense sostanzialmente un anno prima.
Un solo grido: Ferrari!
Tambay taglia il traguardo per primo, con le braccia al cielo, come quelle di tutto il pubblico in visibilio. Ma il pensiero andava solo a lui: Gilles.
Tambay, tra l’altro grande amico del canadese, dichiarerà un giorno: non so se credi nei fenomeni paranormali, ma ti assicuro che quel giorno non sono stato io a guidare quella macchina per portarla alla vittoria.
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