Al Bayer Leverkusen, Hakan Çalhanoğlu era un trequartista magrolino con la dinamite nei piedi che presto si era fatto un nome per essere uno dei migliori battitori di punizioni del mondo. Solo Messi, faceva meglio di lui in Europa. Il calcio iper verticale di Roger Schimdt esaltava la sua capacità di agire d’istinto e le sue doti balistiche gli permettevano giocate immediate fatte quasi a memoria. Il pensiero era subito azione.
Arrivato al Milan nell’estate 2017, durante l’interregno dell’enigmatico Yonghong Li e con il suo attuale Ct Vincenzo Montella come allenatore, era stato decentrato, un po’ esterno sinistro d’attacco, un po’ incursore partendo dalla mediana. Era frenetico, si diceva soffrisse la pressione di San Siro e, quando dopo quattordici giornate di campionato era arrivato Gennaro Gattuso, le cose non erano migliorate poi troppo. Stessa cosa l’anno seguente, con l’aggravante di non riuscire mai a segnare con uno dei tanto decantati calci di punizione. Il tifo mormorava, una buona fetta della piazza lo criticava. Appariva inconsistente e con il suo dirimpettaio, Suso, dall’altro lato del campo, formava un duo dai mezzi fenomenali ma dai risultati modesti. Con Marco Giampaolo, poi, non aveva funzionato nulla. Infine erano arrivati Stefano Pioli, la sconfitta 5-0 a Bergamo e quindi il Covid. Çalhanoğlu era esploso: si diceva che con gli stadi vuoti il suo deficit di personalità fosse scomparso come per magia.
Çalhanoğlu ha trascorso quattro stagioni al Milan, dal 2017 al 2021
Libero di muoversi dietro sua maestà Ibra, centravanti totem, era diventato la fionda del mister parmigiano, l’innesco perfetto di un Milan a cento all’ora che ricalcava il calcio frenetico del suo Bayer Leverkusen, macinando buoni risultati. «Pioli è l’unico che mi ha fatto giocare trequartista, nella mia posizione preferita» aveva spiegato tra un assist e un gol. Nove e nove a fine campionato. Çalhanoğlu, spostato al centro del villaggio rossonero, aveva riscoperto anche le doti balistiche che nei primi anni milanesi sembravano rimaste in Germania e così il suo rinnovo di contratto, a un anno dalla scadenza, era diventato prioritario per il club. Tutti sanno come è finita: agli stracci.
Passato all’Inter, nel centrocampo a cinque di Simone Inzaghi aveva occupato la posizione di terzo di sinistra, giocando un buon volume di palloni, ma perdendo la centralità da poco riconquistata. La palla la faceva girare Marcelo Brozovic, gli strappi in area erano di Nicolò Barella, i rigori di Romelu Lukaku e a Çalhanoğlu, per fare notizia, non restava che la polemica contro il Milan da ex avvelenato.
Nel derby di andata del 2021, aveva mostrato che il carattere non gli mancava di fronte al muro dei tifosi rossoneri che lo fischiava, realizzando l’1-0 con un rigore impeccabile, ma quando le motivazioni erano più basse anche il livello delle sue prestazioni calava. Alla vigilia della sfida di ritorno, di nuovo protagonista di tutte le interviste, aveva pronunciato il celebre «abbiamo il fuoco dentro» che Pioli aveva affisso negli spogliatoi per caricare i suoi. Il Milan aveva vinto in rimonta 2-1 con la doppietta di Olivier Giroud, anche perché Inzaghi aveva sostituito Çalha con Arturo Vidal quando l’Inter sembrava in controllo. Alla vittoria nerazzurra della coppa nazionale, il Milan aveva saputo rispondere con lo Scudetto. Lo striscione sventolato da Rade Krunic e Mike Maignan sul pullman che celebrava i campioni d’Italia, «la Coppa Italia mettila nel c***», sembrava rivolto direttamente all’ex.
Çalhanoğlu realizza su rigore il quarto dei cinque gol con cui l’Inter ha battuto il Milan nel derby d’andata a settembre 2023
L’anno dopo, titolo al Napoli e per l’Inter, oltre a un’altra Coppa Italia, c’era stata solo la cavalcata in Champions fino alla finale. A parte qualche occasione sporadica, da incursore, Çalhanoğlu non era sembrato imprescindibile, finché Brozovic non aveva cominciato a dare i primi segnali di scontento che hanno portato alla sua cessione in Arabia. Spostato in regia per un’intuizione di Inzaghi, Çalha era tornato a essere il centro di gravità della sua squadra, riuscendo a unire la capacità di percorrere una dozzina di chilometri a partita di EpicBrozo alla sensibilità tecnica e di calcio che da sempre è la sua dote migliore, diventando presto imprescindibile.
Tra le grandi idee di un allenatore che hanno cambiato la carriera di un giocatore e i destini della squadra, tutti ricordano lo spostamento di Andrea Pirlo in regia al Milan, voluto da Carlo Ancelotti, la scelta di Luciano Spalletti di schierare Francesco Totti falso nueve alla Roma e il Samuel Eto’o ala sinistra con licenza di difendere del Triplete interista con José Mourinho. I prossimi della lista potrebbero essere Simone Inzaghi e Çalhanoğlu. «Il genere umano si divide in tre categorie: gli inamovibili, quelli possono essere mossi, e quelli che muovono» spiega un proverbio arabo. E il nuovo Çalha sembra rientrare in ognuna di esse.
Un inamovibile, poiché l’ex mister laziale non sa fare a meno di lui. Che può essere mosso, perché ha dimostrato di sapersi trasformare in qualcosa d’altro ogni volta che si è reso necessario. Uno che muove, soprattutto, per la sua capacità di far girare la sua squadra e di emozionare in positivo i suoi sostenitori e in negativo gli avversari. Dopo la doppietta al Monza, alla prima di ritorno, Billy Costacurta – che non può essere certo tacciato di faziosità interista – ha detto che Çalhanoğlu, dopo Rodri, è il miglior centrocampista d’Europa, facendo eco a Montella e Fabio Capello che già si erano espressi in questi termini. È difficile credere che qualcuno si sarebbe azzardato a dirlo solo qualche mese fa.
«Prima di iniziare la stagione ho preso un personal coach e abbiamo lavorato in vacanza, anche con i video e quando è cominciato l’anno mi sentivo già pronto» ha raccontato Çalha nel post partita al Brianteo, ma se non ci fosse stata la partenza di Brozovic, la sua carriera difficilmente avrebbe preso questa piega. Come mostrato a Monza, quando ha rincorso il prodotto del vivaio interista Valentín Carboni fermando con un fallo un’azione potenzialmente pericolosissima, Çalhanoğlu non ha paura nemmeno di picchiare, quando serve – pure troppo visto che era in diffida e con il giallo che ne è conseguito si è preso una giornata di squalifica – ma è la sua rinnovata voglia di incidere anche sul fronte d’attacco, la caratteristica che lo ha reso uno dei migliori registi al mondo. Se non proprio il numero uno.
Çalhanoğlu e Rodri durante la finale della scorsa edizione della Champions League
Le nove reti totali segnate in campionato prima della sosta per la Supercoppa italiana sono dovute soprattutto ai sette rigori realizzati su sette, vero, ma il suo peso nelle statistiche offensive della squadra è enorme e traccia un solco tra sé e la gestione precedente. In fatto di passaggi tentati, accuratezza, duelli vinti, intercetti e palloni rubati le statistiche del croato e del turco si equivalgono, ma con le sue incursioni nella trequarti avversaria il numero 20 nerazzurro ha offerto un upgrade clamoroso rispetto al passato. Nella metà campo offensiva, Brozovic in 35 presenze aveva chiuso il 2022-23 con 35 passaggi chiave, 32 tiri di cui 13 in porta, una Big Chance creata e appena 12 cross riusciti. Çalha ha impiegato appena 20 giornate per frantumare o avvicinare ognuna di queste voci: 43 tiri, di cui 13 in porta, 32 passaggi chiave, 6 Big Chance create, 94 (!) cross di cui 41 riusciti. Numeri importantissimi, eguagliabili solo da un mostro di costanza come Rodri, che nell’accuratezza dei passaggi può vantare un irreale 93%, nonostante ne effettui quasi il doppio a partita più di Çalha, e che ha messo in fila 50 partite consecutive con il Manchester City senza sconfitte.
Quando si è trattato di giocare la finale di Champions lo scorso maggio, lo spagnolo ha segnato il gol decisivo, mentre Çalhanoğlu ha fatto scena muta o quasi, risultando grigio e anonimo come in poche altre occasioni. Nell’appuntamento più importante di una carriera, lo strapotere fisico della stella del City lo aveva messo in ombra, ma anche sotto l’aspetto fisico e mentale gli allenamenti estivi sembrano aver dato buoni frutti: Hakan sembra più forte, in tutti i sensi. A chi gli rinfaccia ancora che ha lasciato il Milan per soldi, sbatte in faccia un’offerta dall’Arabia da diciotto milioni di euro per quattro anni rispedita al mittente per amore dell’Inter. A chi gli chiede quale avversario preferirebbe battere nella corsa Scudetto tra Milan e Juve, dice di pensare solo alla sua squadra. Non c’è tempo per fermarsi.
Çalhanoğlu si appresta a battere un calcio d’angolo durante l’ultima partita di campionato, Inter-Napoli
Quest’anno Çalhanoğlu ha tagliato alcuni importanti traguardi: contro l’Empoli ha raggiunto le cento partite in nerazzurro; con il gol al Frosinone alla dodicesima è diventato il giocatore turco ad aver segnato più gol in A, superando Sükrü Gülesin, stella di Lazio e Palermo negli anni Cinquanta; la doppietta con il Monza è stata la sua prima in A (l’ultima nel 2017 con il Leverkusen) e con nove centri gli ha permesso di diventare il sesto centrocampista con più gol nei Top 5 campionati europei.
Il prossimo obiettivo? Uno solo, lo scudetto che ancora gli manca, quello della stella, che Çalha ha confessato non avrebbe mai scambiato con un’altra finale di Champions. «Il cuore del mistico trae conoscenza dalla trasformazione costante dell’Assoluto attraverso la trasformazione del proprio cuore in varie forme» diceva il filosofo Ibn Arabi e ancora una volta calza a pennello per Çalhanoğlu, che negli anni ha mostrato tanti volti diversi in campo, ma forse nessuno così entusiasmante come quello di questa prima parte di stagione. Da ala fumosa si è trasformato nel tempo in un leader a tutto campo. Concentrato, feroce, decisivo. Çalha, al centro di tutto.
Immagine in evidenza: © Inter, X
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