Il suo arrivo passa in secondo piano, come quello di un gregario qualsiasi che viene risucchiato nella bolgia dei festeggiamenti. Un momento che passa come un battito di una farfalla, perché dopotutto quando finisci nelle retrovie non ti resta far altro che portare la bicicletta al traguardo e pensare a una nuova avventura. Quel momento non è però lo stesso, perché per Thibaut Pinot è l’ultimo e a sorpresa un urlo si alza dai lati delle strade.
Lo speaker lo nomina dal palco di Bergamo e, mentre Tadej Pogacar si prepara a ricevere il trofeo per la terza volta in carriera, un flusso improvviso di flash lo inonda come se fosse la star della giornata. Lui sorride tranquillo, sapeva che quel momento doveva arrivare prima o poi ed era preparato, anche se non c’è nulla da festeggiare rispetto a quel sabato pomeriggio d’autunno del 2018 quando conquistava Il Lombardia.
Tempo qualche minuto e tutto si placa, l’attenzione torna sul campioncino sloveno che da qualche stagione sta riscrivendo la storia delle due ruote mandando pian piano in soffitta chi c’è stato prima di lui, compreso Thibaut che d’improvviso si è visto spazzato via da un tornado di giovani alla ribalta. Lui che così vecchio poi non lo era e che ha avuto soltanto la sfortuna di trovarsi schiacciato fra una generazione di “giovanotti” pronti a vender cara la pelle fino ai quaranta e una schiera di “ragazzini terribili” decisi a prendersi tutto e subito.
Sembra il mesto epilogo di una carriera da predestinato consumata fra le “contradditorie” strade di Francia e le “dolci” carrarecce italiane, eppure il tifoso di ciclismo non dimentica chi lo ha fatto innamorare; chi, nonostante la sfortuna, ha saputo regalare emozioni. E lui stesso restituisce il tutto al tempo giusto.
Per questo basta dare le spalle per un attimo al podio per vedere un fiume di gente che si accavalla verso un uomo che si sposta a fatica con il suo mezzo, spostando l’attenzione anche di chi distrattamente stava facendo altro. “Pinot, Pinot!!!” si sente gridare distintamente. “Pinot, Pinot” è il moto di quella giornata iniziata molto presto sulle ripide pendenze della Boccola, dove un centinaio di tifosi alsaziani si sono trasferiti in massa trasformandolo in un proprio feudo.
Per gli addetti ai lavori è difficile transitare in auto incolumi senza dover far i conti con qualche spintone al proprio mezzo, per chi sale in bici invece grandi incitamenti e magari qualche bicchiere di vino per alleviare lo sforzo. Sono lì almeno dal giorno precedente per celebrare l’addio del proprio fuoriclasse, cresciuto in una terra dove si preferiscono le Alpi ai Pirenei, dove la storia della Francia ha posto le proprie radici prima di esser estirpate negli ultimi secoli.
Anche qui grida e alcol a non finire perché un addio alle corse non può esser un giorno triste, ma un momento che accompagna verso un futuro più felice. Le trombette e i megafoni strillano come dei pazzi, ma questo è il ciclismo, uno sport di puro divertimento con gesti semplici. E’ forse un po’ quello che ci ha insegnato Pinot, che ha saputo far muovere la sua gente per centinaia di chilometri solo per celebrarlo. Senza chiedere nulla, un po’ in sordina, come il suo arrivo sul traguardo di Bergamo che, come per ogni fuoriclasse che si rispetti, non poteva che diventare una grande festa.
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