L’Irlanda del Nord è una vera e propria costante nella storia della Nazionale Italiana, in particolare quando ai Mondiali non ci si presenta. Per quanto se ne possa dire, il tassello fondamentale dell’eliminazione dalla corsa per Qatar 2022 non è stato né i due rigori falliti da Jorginho contro la Svizzera, nemmeno la sconfitta tutt’oggi inspiegabile con la Macedonia del Nord condita dall’errore marchiano di Domenico Berardi sotto porta e del debutto confuso di Joao Pedro che rimarrà probabilmente negli annali.
Il vero segnale che a questi dannati Mondiali non ci saremmo mai andati è arrivato il 15 novembre 2021 quando un’Italia a corto di idee non è riuscita a superare a Belfast la tignosa difesa irlandese, regalando il pass agli elvetici e lanciandosi in quella magica “roulette russa” quali sono i play-off. Rivedendo a posteriori la partita sembra di percepire quella sensazione di “déjà-vu”, di qualcosa di già accaduto prima che George Best divenisse una star del mondo pallonaro e che si compisse quella “domenica di sangue” cantata dagli U2.
Siamo nel 1958 e l’Italia è un paese in forte ripresa dopo il secondo conflitto mondiale. Nel Bel Paese si vivono i fast del boom economico e nel calcio non si è da meno giungendo nel nostro campionato numerose stelle straniere che avevano acceso il firmamento internazionale, dal gallese John Charles all’argentino Antonio Angelillo senza dimenticare gli uruguagi Alcides Ghiggia e Juan Alberto Schiaffino in compagnia dell’ “angelo con la faccia sporca” Omar Sivori.
Mentre il catenaccio cercava di farsi largo fra le fila del “sistema” inglese, in Nazionale si cercava di trovare una quadra complice le eliminazioni precoci ai Mondiali del 1950 e del 1954, un’impresa non facile affidata ad Alfredo Foni, campione iridato nel 1938 sotto la guida di Vittorio Pozzo e vincitore da allenatore di due scudetti con l’Inter prima di approdare in azzurro. Per compensare alla mancanza di talenti nostrani, i dirigenti della Federazione pensarono bene di puntare su numerosi “oriundi”, calciatore stranieri naturalizzati grazie alle origini dei genitori e parenti, spesso approdati in terre lontane alla ricerca di fortuna. Fra questi spiccavano nomi di fuoriclasse come Ghiggia e Schiaffino, funamboli della sfera di cuoio protagonisti del “Maracanazo” nel 1950, ma anche emeriti sconosciuti di cui si piangeranno a posteriori le gesta mancate.
Il cammino verso la Svezia apparve tuttavia subito in discesa complice un girone eliminatorio morbido che prevedeva la presenza di Portogallo e Irlanda del Nord, la prima sicuramente non la corazzata che conosciamo oggi, la seconda una vera e propria meteora calcistica conosciuta soltanto per le sanguinose guerre di religione. Le premesse per far bene ci furono subito grazie al successo di misura su quest’ultima grazie a una bordata su punizione di Sergio Cervato nel match andato in scena a Roma il 25 aprile 1957. Gli entusiasmi vennero presto spenti dal pesante 3-0 patito un mese dopo a Lisbona da parte dei lusitani, capaci di riaprire il discorso qualificazione dopo una dura partenza, ma soprattutto cancellando le certezze di Foni che si ritrovò a pagare uno scotto ancor più pesante in amichevole con la Jugoslavia soccombendo per ben 6-1.
Una gara che segnò il destino di mezza squadra portando all’esclusione del portiere laziale Roberto “Bob” Lovati e dell’intero blocco difensivo della Fiorentina composto da Ardico Magnini, Giuseppe Chiappella e Alberto Orzan puntando su esordienti come Alfio Fontana e Gastone Bean del Milan, Bruno Pesaola e Celso Posio della Roma oltre che fra i pali su Ottavio Bugatti del Napoli con alle spalle soltanto due presenze. Sicuramente una mossa azzardata che, paradossalmente, ebbe subito effetto nel ritorno della sfida con il Portogallo giocata il 22 dicembre 1957 a San Siro e utile per riequilibrare il computo dei gol grazie alla doppietta di Guido Gratton e alla rete di Gino Pivatelli.
Qualche giorno prima era però andata in scena era andata in scena una delle partite più incredibili della storia tricolore, la cosiddetta “battaglia di Belfast” andata in scena il 4 dicembre 1957 al solito “Windsor Park” situato nella capitale britannica. Più che un campo da calcio, un vero e proprio terreno bellico contraddistinto dalla presenza di buche e fango e circondato da un clima che definirlo ostile sarebbe un ossimoro considerate le frizioni religiose fra il pubblico protestante e gli ospiti cattolici. A peggiorare la situazione ci pensò tuttavia l’arbitro ungherese István Zsolt, bloccato dalla nebbia a Londra e impossibilitato a raggiungere l’isola in aereo. Una vera e propria disdetta che costrinse gli organizzatori a puntare sul direttore di gara locale, il signor Mitchell, accettato da parte dei dirigenti tricolori a patto che la sfida venisse derubricata ad amichevole.
Un termine sicuramente non adatto a quanto emerse in quel mercoledì pomeriggio dove gli uomini di Foni andarono in vantaggio per due volte, prima con Ghiggia al ventiquattresimo e poi con con Miguel Montuori imbeccato provvidenzialmente con Schiaffino al cinquantesimo. A inchiodare il match sul pareggio fu però Wilbur Cush, bravo a sfruttare peraltro il gioco rude impostato dai compagni di squadra.
La “battaglia” raccontata con le immagini delle teche RAI
Una modalità di affrontare il match che non si concluse al triplice fischio dell’arbitro, ma che continuò direttamente sugli spalti complice l’invasione dei tifosi di casa, secondo le ricostruzioni imbufaliti per essersi presi un giorno di ferie per vedere una partita valida per le qualificazioni mondiali e ritrovatisi alle prese con una semplice amichevole. Dopo aver appreso la notizia falsa che gli italiani si sarebbero rifiutati di accettare il signor Mitchell, i fans sarebbero scesi sul campo di gioco dando vita a una vera e propria caccia all’uomo racconta magistralmente il giorno successivo su Tuttosport da Antonio Ghirelli.
“Dalla stessa porta è ora un fiotto di gente che entra urlando, nello spogliatoio italiano, piangendo, protestando, invocando, discutendo. Chiappella sta spiegando che la sua reazione è stata determinata da una sequenza interminabile di falli, culminata con una violenza teppistica del centroavanti McAdams che ha colpito Bugatti in pieno viso. Alle spalle di Chiappella sopraggiunge Segato in compagnia del medico azzurro. Il mediano viola ci nota in un angolo e ci fa anche lui, spettrale, alluncinato, bianco come un lenzuolo: ‘Lo dica, lo scriva sui giornali: qui l’incontro di Coppa senza la Polizia non possiamo venirlo a giocare. Non ci mandino più qui. Non si può, non si può … Farabullini cerca di calmare i suoi giocatori ma non è meno sconvolto di loro: ‘Mi creda – dice – in tutta la mia carriera non ho mai visto nulla di simile. Ci hanno coperto di sputi prima ancora di entrare in campo. Una cosa inaudita ! Bugatti, che ha dimostrato un freddo coraggio pur essendo forse il giocatore più bersagliato dalle scorrettezze avversarie e dall’arbitraggio incosciente del signor Mitchell, ci porge un grosso ciottolo nero: ‘E’ uno dei più piccoli che mi hanno tirato per tutta la partita’ dice semplicemente e va a spogliarsi”.
Quanto successe negli spogliatoi di Belfast fu quindi letteralmente qualcosa di clamoroso, difficile da credere pure per i cronisti lì presenti che, dopo aver osservato sul campo una vera e propria ‘rissa da strada’, rimasero ulteriormente scioccati nel vedere i giocatori rientrare in quelle condizioni. Chi sicuramente ebbe la peggio fu Rino Ferrario, roccioso difensore della Juventus noto non tanto per le sue buone maniere in campo, ma trasformatosi in quel momento nel “Leone di Belfast” in seguito a quanto accadde sul verde prato irlandese.
“La porta si riapre di colpo per lasciare entrare un piccolo corteo formato da Foni, che piange come un ragazzo, da Biancone e dal giocatore irlandese Gregg: i tre portano a braccia un gigante che singhiozza anche lui, riverso, cogli occhi chiusi, le mani nelle mani del suo direttore tecnico. E’ Rino Ferrario – raccontò Ghirelli -. Ferrario che si lamenta, Ferrario che ha le gambe segnate dai colpi degli avversari di gioco, una manica della maglia azzurra strappata sulla spalla, una ferita al collo e una sanguinante, sotto la mascella sinistra. La folla si è lanciata sopra di lui al momento dell’uscita dal campo, lo ha travolto, lo ha calpestato mentre i compagni, qualche italiano e il portiere Gregg cercavano di salvarlo. Il peggio sarebbe forse avvenuto se due poliziotti irlandesi non fossero riusciti a strapparlo dalle mani degli energumeni consegnandolo agli amici. Occorrono quasi dieci minuti perché Ferrario si riprenda e racconti la sua terribile avventura”.
L’immagine di Ferrario divenne un simbolo di quella che, più che una partita, si era trasformata in una gazzarra dove i più deboli apparvero gli italiani a fronte di una potenza di fuoco irlandese capace di intimorire chiunque. Quel timore probabilmente passò nelle vene degli uomini di Foni che, complice anche una scellerata scelta della Federazione, tornarono sulla scena del delitto il 15 gennaio 1958 per quello sarebbe effettivamente divenuta la sfida decisiva per la qualificazione alla competizione iridata. Complice la vittoria sul Portogallo, sarebbe bastato un pareggio all’Italia per passare, tuttavia il commissario tecnico decise di complicarsi la vita da solo rilanciando Guido Vincenzi e schierando il debuttante Giovanni Invernizzi al posto degli infortunati Chiappella e Cervato in una difesa del tutto rivoluzionata.
Assente a centrocampo Gratton, Foni decise di puntare in attacco sull’italo-brasiliano Dino Da Costa affiancato da Ghiggia e Schiaffino, un tridente decisamente leggero considerate le condizioni del terreno di gioco a dir poco pesanti, quasi al limite dell’impraticabilità considerata la folta presenza di nebbia. Una situazione ideale per strappare un pareggio, non per l’Italia che venne velocemente liquidata nella prima mezzora dai padroni di casa con Jimmy McIlroy al ‘13 e il solito Billy Cush al ‘28. Inutile il gol della bandiera di Da Costa al ‘56 su papera dell’estremo difensore avversario e i continui tentativi di trovare il pareggio. L’unica cosa che l’Italia rimediò fu un’espulsione di Ghiggia al ‘68, colpito duro dagli avversari e ingenuo a reagire, oltre a una sconfitta che rimarrà negli annali del calcio tricolore.
Da lì in avanti l’Italia vivrà per ancora un decennio alcuni dei periodi più bui della sua storia, fra eliminazioni precoci e brucianti sconfitte, ma quell’assenza al Mondiale brucerà al cospetto degli dei del pallone, soprattutto se sono britannici.
Strano episodio che non conoscevo. Lo sport combattuto ma mai esasperato! Comunque ben raccontanto!