A tre gare dalla conclusione, il finale del campionato mondiale 2023 MotoGP è ben lontano dall’esser già scritto. Tre round ancora da correre, stretti in un ritmo serrato, un weekend dopo l’altro. L’atmosfera è da sabato del villaggio, in attesa che arrivi domenica, giorno chiaro, sereno a cui, in questo caso, manca solo un vincitore da portare in trionfo. Perché una celebrazione ci sarà e non v’è dubbio, ma chi sarà il padrone della festa?
Le diciassette tappe di questo tour a due ruote motorizzate, ci hanno restituito un campionato intenso e avvincente. La novità della gara sprint del sabato, alla vigilia osservata con una buona dose di scetticismo, si è conquistata il ruolo di esplosivo antipasto, ventiquattro ore prima del consueto GP della domenica. È stato anche l’anno del monologo allo specchio della Ducati. Quella “moto usata ma tenuta bene”, con cui Luca Carboni parte da Bologna con le luci della sera e percorre la via adriatica verso il litorale romagnolo in “Mare, Mare”, si è trasformata nelle ultime stagioni in un destriero affidabile e tremendamente veloce, plasmato dalle mani sapienti dell’ingegner Gigi Dall’Igna. Peccato per quell’infermeria imbottita di piloti (per esempio Alex Rins, Enea Bastianini, Pol Espargaro) per lunghi tratti della stagione, a causa di infortuni in pista e non, che hanno relegato al ruolo di comparse un corposo manipolo di personaggi in questo thriller in circuito. I protagonisti? Due. Francesco Bagnaia e Jorge Martin. Entrambi in sella a una Ducati, (factory per l’italiano, Team PrimaPramac per lo spagnolo) e divisi in campionato da 13 punti, alla viglia del weekend di Sepang, in Malesia, sabato 11 e domenica 12 novembre, terzultimo capitolo dell’annuale saga a due ruote.
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Francesco Bagnaia e Jorge Martin sul podio del Gran Premio di Thailandia
Francesco, per tutti Pecco, Bagnaia è il campione del mondo uscente. Un 2022 vissuto tutto in rimonta, una rincorsa forsennata quasi impossibile, beffando solo nel finale di stagione Fabio Quartararo. È stato il primo pilota italiano a trionfare in topclass dal 2009, l’anno della nona sinfonia del Beethoven, del Maradona o del Michael Jordan che dir si voglia del motociclismo, Valentino Rossi. Cresciuto e protetto proprio sotto l’ala dorata del pesarese, all’interno della VR46 Academy, fucina di talenti che incarna l’eredità perpetua del più grande di tutti. Il piemontese è un ingegnere mancato, come è d’obbligo essere in questa epoca del motociclismo, dove l’istinto e la fantasia lasciano il passo all’elettronica e alla cura del più piccolo dettaglio meccanico.
A prima vista, potrebbe apparire come il primo della classe delle elementari, pettinato, con il grembiule perfettamente stirato e con un soffice fiocco di seta che gli cinge il collo. Educato, gentile e mai fuori luogo. Se non fosse che le sue staccate furibonde vadano oltre ogni più ragionevole logica. Frena più tardi di tutti gli altri, entra in curva accompagnando dolcemente la sua moto che tratta con devozione. Sciamano della gestione degli pneumatici, proprietario dell’elisir che permette di allungare la vita delle gomme. Fin troppo severo con sé stesso nel momento appena successivo ad un suo errore. Parlando di lui, non si può andar lontani dal concetto di predestinato.
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Francesco Bagnaia al termine del Gran Premio di Valencia dello scorso anno
La sua stagione 2023, fino alla gara di Barcellona, è stata quasi impeccabile. Nelle prime dieci gare ha conquistato quattro Sprint, cinque GP, per un totale di quindici podi complessivi fra gare corte e lunghe. Barcellona sì, dove, in conseguenza di un terrificante high-side che lo ha sbattuto sull’asfalto a poche curve dallo start, l’incolpevole Brad Binder, con la ruota anteriore della sua KTM, è passato sopra la gamba di Pecco facendo temere il peggio e causando uno stato di angoscia collettiva alla vista delle immagini. Incredibilmente, per fortuna, niente di rotto, qualche livido a tingere lo spavento e già subito in sella una settimana dopo a Misano salendo sul podio sia il sabato che la domenica, come se fosse stato solo un incubo. A dirla tutta, però, nelle gare successive questa esperienza ha un po’ condizionato – e ci mancherebbe – il feeling con la moto del nativo di Chivasso. Come ammesso da lui stesso nella consueta conferenza stampa che dà inizio al weekend:
«Dall’Igna dice che ho perso esplosività dopo l’incidente di Barcellona? La botta del Montmeló è stata molto intensa, può essere che inconsciamente sia così. Da quel momento ho faticato di più a entrare in pista e fare il giro secco. In Australia ero tornato a essere competitivo sul time attack e nell’ultima gara sono andato abbastanza vicino alla pole, però mi è mancato qualcosa».
Niente o quasi, invece è mancato all’altro, Jorge Martin da Madrid. Un pilota naturalmente veloce: sorriso stampato sulle labbra, qualche tatuaggio, cappellino con la visiera piatta e un’insana voglia di emergere. Infatti, fa emergere dalle curve in modo superbo la sua Ducati, come se avesse imparato una tecnica speciale, tipo il drift in Fast & Furious. La trazione in uscita sta a Martin come la staccata sta a Bagnaia. Prima dei fatti in terra catalana, ben 66 punti lo separavano dal pilota italiano. Da lì in poi, con l’avversario con le polveri bagnate e impegnato a ritrovare sicurezza, ha infilato una serie di prestazioni maestose. Pole position e doppietta a Misano, primo nella sprint e secondo nel GP in India, weekend perfetto a Motegi in Giappone, dove ha fatto segnare anche il giro più veloce. Attardato dunque di 66 punti alla sera del 2 settembre prima del GP di Barcellona, dopo il fine settimana nipponico è in testa al mondiale con 7 lunghezze sul rivale e uno score impressionante di 118 punti conquistati su 123. Onnipotente.
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Jorge Martin festeggia la vittoria della Sprint al Gran Premio d’India a settembre scorso
In Indonesia, dopo aver vinto al sabato la Sprint, suo personale territorio di caccia (ne ha portate a casa sette), mentre era in solitudine al comando, involato verso l’ennesimo centro, Martinator cade, riconsegnando la leadership a Bagnaia, che andrà a vincere, abbandonando la speranza di allungare in classifica nella ghiaia del sud-est asiatico. Nella terra down under, l’Australia, dove tutto è capovolto, infatti, si corre il GP al sabato. Si è deciso di scambiare la data con la sprint, a causa di infauste previsioni metereologiche per la domenica, contraddistinta da un vento feroce che porterà all’annullamento della gara corta. Martin spinge subito al massimo, forte di un feeling cementato con la moto e di una gomma soft, a differenza degli altri equipaggiati con la media, che lo lancia a fionda. Fino agli ultimi due giri, quando dei lembi di pneumatico cominciano a staccarsi dai cerchioni: la scelta della gomma più morbida si rivela sbagliata. Martinator è incredibilmente lento, sembra guidare su un tappeto di uova, permettendo così a Johann Zarco, Bagnaia, Fabio Di Giannantonio e Brad Binder di sverniciarlo e appunto a Pecco, in questo ribaltone dell’ultimo secondo – ancora una volta, siamo in Australia – di aumentare il suo vantaggio in classifica a quota 27. A Buriram, Martin torna inarrestabile: anche qui weekend perfetto – doppia vittoria, pole e giro veloce – accorciando fino a -13 dopo la tappa thailandese.
Si arriva a Sepang, dove, a questo punto della stagione, fare un pronostico è particolarmente complicato. I due rivali condividono sostanzialmente la stessa moto; Martin sembra più in forma ma non può permettersi errori sia in pista sia nella scelta delle gomme. Bagnaia ha un margine risicatissimo, ha dalla sua una pista che gli sorride, dove l’anno scorso ha vinto, ponendo una grossa pietra nella costruzione della vittoria del suo mondiale. Come detto, dopo Barcellona fa più fatica nel giro secco, non riuscendo più a centrare la pole position, scattando addirittura tredicesimo in Indonesia e sesto, con lo spagnolo primo in griglia, in Thailandia. In generale, partire più indietro condiziona la strategia di gara, a maggior ragione nella gara sprint dove i giri sono la metà, come anche i punti, ma lasciare in questo finale di campionato campo libero nella corta a Martin potrebbe essere letale. Ci si domanda se prevarrà la capacità di Bagnaia di aspettare, gestendo, il momento decisivo della contesa – come Kyrie Irving con il clutch time – o invece la forma e la velocità di Martinator incatenate a un istinto che, almeno fino ad adesso, lo sta avvantaggiando.
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Da sinistra Jorge Martin, Francesco Bagnaia e Marco Bezzecchi nella conferenza stampa che ha preceduto il fine settimana il Gran Premio di Thailandia a Buriram
Per ogni Coppi e Bartali, c’è un Fiorenzo Magni, un terzo incomodo, ossia Marco Bezzecchi. In questo caso, in realtà, tertium non datur, visto che, matematicamente è ancora in corsa, ma ha da recuperare 79 punti dal leader Bagnaia con soli 111 punti ancora disponibili. Un’impresa sostanzialmente impossibile. Più che beffare gli avversari, il Bez, un altro degli allievi di Valentino, potrà fungere da ago della bilancia, inserendosi nella lotta e togliendo punti all’uno a all’altro collega, sempre che abbia recuperato completamente dalla frattura alla clavicola, riportata nel corso di un allenamento al Ranch di Tavullia il 7 ottobre. Nonostante ciò, non ha saltato nemmeno un weekend. Questo infortunio, unito a uno sviluppo leggermente inferiore della moto rispetto ai due rivali – Il team VR46 con cui corre dispone di due Ducati GP22, le moto ufficiali dell’anno precedente – ha limitato, per questa stagione, le sue reali possibilità di vittoria nel mondiale. Il talento è però cristallino e sarà decisivo per le sorti del campionato.
Sepang, Losail in Qatar e poi Valencia. Tre passi ancora, alla ricerca del padrone della festa: gara per gara, un weekend alla volta, fino alla svolta.
Immagine in evidenza: © Instagram, @89jorgemartin
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