Le origini del calcio in Italia sono così oscure tanto da inserirsi nella storia di un esploratore di fine Ottocento, Attilio Pecile, capace di unire la passione per la natura a quella per il pallone.
Le origini friulane e la passione per la natura
La sua storia è tanto curiosa quanto sconosciuta ai più e prende origine da quel Friuli che nel 1856, anno della sua nascita, doveva ancora trovare l’indipendenza dall’Impero Austro-Ungarico come desiderato dal padre Gabriele Luigi, fervente patriota e deputato del Regno d’Italia per alcune legislature.
A differenza del padre, la politica non era il fulcro della sua vita e, dopo aver compiuto gli studi classici a Udine, decise di trasferirsi all’Università di Torino dove frequentò un biennio, interessandosi in particolare allo studio della geologia e della geodesia prima di proseguire i suoi studi in Germania nelle scuole di Hohenheim e di Weinstefan.
Le esplorazioni lungo il fiume Ogoué
Appassionato di scienze naturali e particolarmente interessato ad ogni branca della natura, dalla botanica alla zoologia passando per la tassidermia e l’alpinismo, nel 1883 Pecile divenne un vero e proprio esploratore imbarcandosi per il Congo dove si trovava già il fratello Giacomo. Seguendo una spedizione francese nell’Ovest africano, il 29 gennaio giunse a Libreville iniziando la risalita del fiume Ogoué insieme al fratello sino a Lambaréné fermandosi per circa sei mesi per traffici commerciali.
Il 12 giugno riprese la propria avventura verso Franceville dove giunse il 31 luglio ricongiungendosi con il fratello e avendo modo di approntare una serie di ricerche naturalistiche che lo avrebbero reso celebre. L’8 dicembre successivo i Pecile ripresero il proprio viaggio attraverso il paese dei Batéké giungendo in direzione della stazione di N’Ganciu, sul Diele, allontanandosi per un breve periodo nella primavera 1884 per esser ricevuti dal re Makoko a M’Bè e compiere un’escursione sul fiume Lefini
Il viaggio verso gli emissari del Niger
Un’impresa dal sapore pittoresco, condivisa in parte con Pietro Savorgnan di Brazzà, naturalista al servizio della Société de Géographie di Parigi che li incaricò di esplorare la parte settentrionale dell’Ogoué e cercare di individuare, con l’aiuto di una trentina di indigeni, la zona di spartiacque tra il bacino del Congo e quello del Benué, affluente del Niger. Durante l’impresa, descritta giorno per giorno da Pecile nel suo ‘giornale’, a partire dal luglio 1885 attraversarono le grandiose foreste abitate da tribù nomadi chiamate Obamba e il territorio degli Okota e dei Giambo (questi ultimi temuti antropofagi e guerrieri), raggiungendo una latitudine di 2° 32’ 50” Nord
Il tanto atteso obiettivo venne però mancato, lasciando però ad Attilio e Giacomo l’onore di aver individuato l’esistenza di un grande fiume navigabile in diretta comunicazione col Congo, che scorreva in direzione quasi parallela a quella del Sanga e dell’Ubanghi, una scoperta che valse loro la Legion d’Onore nel 1886 da parte del governo francese.
Il viaggio in Inghilterra sulle tracce del calcio
I viaggi di Attilio Pecile si interruppero solo per qualche anno quando, su proposta del padre, decise di accettare un impiego presso il Banco di Udine, ma quel lavoro ebbe comunque vita breve considerata la voglia di esplorare insita nel sangue dell’esperto friulano. E proprio l’Inghilterra appariva un terreno fertile per raccogliere novità, in particolare a livello sportivo, settore tanto amato dal padre da allestire nella primavera 1894 una palestra poco fuori Porta Aquileia dedicata al calcio, alla palla vibrata e al tamburello.
Insieme a Carlo Braida, ex campione di ciclismo, l’esploratore venne quindi inviato in Gran Bretagna per fare un po’ di luce su quelle che effettivamente erano le regole di questa disciplina, un campo troppo ampio per fare luce tanto da applicare spesso i dettami del calcio fiorentino mischiati a quelli del rugby.
Il torneo di Treviso e la vittoria dell’Udinese
Proprio al ritorno dei due nacque così il più antico torneo di calcio mai disputato in Italia, andato in scena l’8 settembre 1896 a Treviso sotto l’egida della Federazione Ginnastica d’Italia. Il football all’epoca rientrava fra le discipline inserite nella più ampia denominazione della ginnastica tanto che le squadre partecipanti erano il frutto della promozione di questo settore. La Società Udinese di Ginnastica e Scherma, la Palestra Ginnastica Ferrara, l’Istituto Turazza, la Società Ginnastica Velocipedistica Trevigiana e il Vittorio Veneto si ritrovarono a scontrarsi nella prima “Gara Nazionale dei Giuochi Ginnastici” vinta proprio dai friulani guidati da Pecile, in grado di battere in finale per 2-0 il Ferrara come raccontato da Luciano Provini.
“Il 2 a 0 era il risultato che per il regolamento di quella volta dava la vittoria, in venti minuti l’Udinese ha fatto due reti e ha battuto il Treviso. In finale contro Ferrara ha vinto 2 a 0 ma dopo ben 2 ore di gioco. La prima rete fu assegnata perché un giocatore avversario prese il pallone con le mani e questo era considerato come un gol, mentre il secondo lo segnò un ragazzino di Maniago che giocava ala sinistra e si intrufolò in dribbling segnando un bellissimo gol, forse uno dei primi gol d’arte” .
“Il giuoco del calcio o Foot-Ball Association” e le prime regole italiane
Giovanni Bissatini, Gino Chiussi, Giovanni Battista Kösnapfel, Ugo Pellegrini, Emilio Milanopulo, Luigi Del Negro, Gino Plateo, Friulano Spivach, Antonio Dal Dan, Augusto Tam e Efisio Tolu divennero quindi dei pionieri per un gioco che, proprio grazie a Luigi Gabriele e Attilio Pecile trovò in quel 1896 la quadra grazie al piccolo opuscolo “Il giuoco del calcio o Foot-Ball Association” nel quale venivano stabiliti anche alcuni suggerimenti di tattica.
“Norma generale di tattica pel giuoco del calcio si è quella di non perdere mai il proprio posto l’uno rispettivamente all’altro. Chi ha la palla tra i piedi in qualunque punto del campo egli si trovi e, per quanto ferva la lotta, deve esser sempre sicuro di avere ai fianchi e dietro a sé gli stessi compagni che aveva al principio della partita: egli in tal modo appena si vede attaccato, con un calcio laterale, manda la palla al compagno di destra o di sinistra secondo che più gli conviene, deludendo l’attacco e lasciando così all’altro la cura di avanzare verso la meta […] Non bisognerà mai raggrupparsi soverchiamente perché in tal modo si lascia indifeso la maggior parte del campo e l’avversario può approfittarne, né mai correre in più dello stesso colore addosso alla palla pel solo gusto di calciarla, si sciupano forze senza risultato utile”.
I consigli di Pecile vennero per certi versi adottati negli anni successivi e divennero la base per un movimento solido e tanto celebre da far vivere alcune delle più belle emozioni dagli italiani a partire dall’Unità. Nonostante ci vorranno ancora due anni per la nascita della F.I.G.C. e per la disputa del primo campionato di Serie A, il calcio deve molto a un personaggio che ha reso la propria una vera e propria avventura.
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