Ciclismo

Aru, il ritorno e il coraggio dei cavalieri

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Ci sono delle volte in cui è necessario ricominciare da zero a 29 anni, nonostante ti chiami Aru, nato Fabio in un piccolo paese di quasi 9.000 anime che porta il nome di San Gavino Monreale, luogo tradizionale per la coltivazione dello zafferano. Tutto si fa nel segno del giallo, colore dell’ottimismo, dell’estroversione, della gloria che si assapora prima e si vive poi nel mentre di un viaggio lungo tre settimane fino agli ChampsÉlysées, dove si diventa immortali. Fabio Aru la gloria l’ha sfiorata, ma di giallo si è vestito e proprio in quella veste augustea ha mostrato gli ultimi colpi da formidabile campione, almeno fino ad ora.

Fabio Aru è per antonomasia il Cavaliere dei Quattro Mori, etichetta affibbiata e utilizzata oramai per consuetudine da addetti ai lavori, operatori della comunicazione, sognatori epici. Lo facciamo anche noi, piccoli narratori in terza persona che rimangono meravigliati dalle imprese di sport come il ciclismo, bello e nobile, faticoso, talvolta malvagio, che si sposa in pieno con la storia e gli eroi in modo intrinseco, avvolgente, pur essendo rimasti scottati in passato da alterne e nefaste vicende di un lato ancora troppo oscuro, al di là di ogni retorica.

Aru, l’uomo e il ciclista, è un cavaliere che può diventare leggenda perché è un vero e proprio talento da recuperare e riportare nella dimensione che merita più di ogni altra cosa. D’altronde, non si vince una Vuelta per caso. Forse sì a dire il vero, ma il portacolori della Team UAE Emirates ha un passato ben scritto e un futuro ancora da riempire di risultati, alzate di braccia, trionfi e spumanti stappati. E dopo un passato da dimenticare in fretta, il Cavaliere scioglie la riserva e si presenterà a Le Grand Depart di Bruxelles; non poteva scegliere palcoscenico migliore, dove il tempo si è fermato.

Due anni or sono fece impazzire tifosi e appassionati globali a La Planche des Belles Filles: a 2.400 metri dal traguardo, Aru saluta la compagnia e si invola verso il successo di tappa, ma è più di una frazione conquistata. L’attacco è micidiale, da veri coraggiosi, piuttosto che rinunciarci e vivere di rimpianti pur correndo il rischio di saltare, essere ripreso da un Froome a caccia della quarta affermazione parigina. Alzata di braccia al cielo, vittoria di tappa, il Cavaliere dei Quattro Mori entra in un’altra dimensione, ma soprattutto diventa l’avversario numero uno del keniano bianco e la speranza italiana – una nuova a tre anni dalla strepitosa affermazione di Nibali – di far risuonare l’Inno di Mameli con l’Arco di Trionfo sullo sfondo.

A Peyragudes l’apotesi: scatto in faccia a tutti, dapprima nessuno riesce a prenderlo. Si rifanno sotto Bardet e Uran, lo precedono, ma Froome non riesce a rispondergli. Aru è maglia gialla, la terrà per due giorni per poi restituirla al britannico. Da quel momento si spegne la luce, le fatiche cominciano a farsi sentire e con esse un periodo di stop forzato che l’ha tenuto lontano dalle corse e costretto al forfait al Giro d’Italia. Sul Galibier viene staccato al quinto scatto degli avversari, poi ancora sulle rampe dell’Izoard dal forcing degli Sky. Termina al quinto posto nella generale e va alla Vuelta, già fatta sua due anni prima, in cerca di riscatto. Sull’Angliru tuttavia va in crisi e deve dire addio alla Top 10.

Sebbene le premesse iniziali fossero state promettenti ed esaltanti, considerando che doveva essere quello delle rivincite con il passaggio dalla Astana alla UAE Emirates, l’anno 2018 di Aru si rivela un incubo infernale tra il ritiro alla Corsa Rosa e una Vuelta totalmente da dimenticare. Lo stop alle corse per l’operazione all’arteria iliaca della gamba sinistra fa il resto, ma paradossalmente può rappresentare il crocevia della carriera. In fondo, un racconto non può concludersi se prima non vengano a crearsi le condizioni per volgersi verso il lieto fine, soprattutto se a dare una mano può farsi vivo il fato.

Se il tempo si è fermato al Tour 2017, deve ripartire ancora una volta alla Grande Boucle. Quale migliore occasione se non questa per lui, il Cavaliere, nobile simbolo di una terra piena d’orgoglio, che ha ripreso in mano la sua carriera dal Gp Lugano e soprattutto da un buon Tour de Suisse tutto sommato per un corridore al rientro per rinascere, tornare ad essere Aru e alzare ulteriormente l’asticella. Il momento è propizio, la voglia non si quantifica: non correrà con la pressione di chi è chiamato a vincere, terminare tra i migliori. Le ambizioni saranno altre e il pensiero dell’uscita di classifica per puntare a quale vittoria di tappa non rappresenta un’idea malvagia a priori.

L’importante, comunque, resta ritrovare sé stessi per scrivere nuove pagine di storia, ricominciando dal cuore e dagli occhi fermi a La Planche des Belles Filles, allo scopo di spiccare il volo e dimostrare al mondo intero che il Cavaliere dei Quattro Mori è tornato, armato di grinta, gambe e coraggio da veri damerini.

La Redazione
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