Ci eravamo lasciati qui, in un Tour da disputare tra una speranza e l’altra di poterlo rivedere lì, insieme ai big, nuovamente protagonista nei Grandi Giri, nel posto che più compete al Cavaliere. Aru, tuttavia, dopo una promettente Grande Boucle, naufraga alla Vuelta in corso in questi giorni. Lontano nella generale, a un abisso dai big e dal suo compagno di squadra Pogacar, Fabio Aru raccoglie i cocci e fa un’analisi del presente e di quel che sarà. Ed è necessario farla, perché il tempo non aspetta e per il Cavaliere dei Quattro Mori ogni opportunità rischia di tramutarsi in ultima spiaggia.
Già, ma cosa succede? Perché, al di là delle vicissitudini, il tempo per il sardo si è fermato al Tour de France 2017 come se non ci fosse una svolta futura, definitiva? Chiaramente le risposte e le ipotesi varie si sprecano, addirittura comincia a farsi forte il pensiero che Aru, il Cavaliere, sia soltanto una miccia spenta troppo presto, quindi incapace di esplodere del tutto non tanto per limiti tecnici, bensì caratteriali.
Non è un tracollo fisico per lui, insomma. Il discorso volge ad altri scenari ed è un peccato perché i segnali di ripresa, i lampi di entusiasmo pacato si erano visti e la Vuelta avrebbe dovuto essere il banco di prova del riscatto. La caduta iniziale al primo giorno in Spagna ha complicato un po’ il tutto, ma Aru non ha il passo dei migliori in salita, la prima settimana alla Vuelta è stata disastrosa e quei segnali di rinascita – salvo clamorosi colpi di scena piacevoli – sembrano essersi sciolti come neve al sole. Prima del Coll de la Gallina, comunque, era a ridosso della Top 10, poi il crollo verticale e l’arrivo con i velocisti un po’ per risparmiare energie, un po’ perché non bastano grinta e cuore se le gambe non funzionano e ne risente anche la testa.
In casa UAE-Emirates non mancano malumori, soprattutto in relazione a una corsa egregia che sta correndo Pogacar, uno dei nomi tra presente e futuro del ciclismo mondiale. Ad Aru si accusa un Tour che non andava affrontato per via di tutto lo stress ingestibile quando non si è ancora pronti, ma qui entra in gioco anche la gestione stessa dei corridori da parte della squadra e la sensazione è quella di averlo mandato un po’ allo sbando senza controllarlo, indirizzarlo per bene conoscendo i suoi allenamenti troppo intensi da farlo andare spesso in overtraining. Come se non bastasse, ci si mette la pressione di essere ad oggi il quarto ciclista più pagato al mondo (3,2 milioni di euro a stagione) che iniziano a risultare un problema per il team emirato in assenza di risultati.
Ma è pur vero che la stagione (anche la precedente) era partita già compromessa per l’inconveniente (termine eufemistico) all’arteria iliaca della gamba sinistra, sarà l’inverno 2020 il primo da poter affrontare senza intoppi e anche la squadra dovrà fare la propria parte. E non si può dimenticare quanto fatto Aru fino a quel Tour 2017 contornato da due giorni di maglia gialla, tuttavia non si può vivere di soli ricordi perché il tempo prosegue e il Cavaliere deve riattivare il suo, prima che si arrivi alle situazioni poco amabili da ultima spiaggia. Ora è opportuno proseguire la Vuelta e la rimanente parte di 2019 nel modo più rispettabile possibile, quindi archiviare il tutto e capire quale potrà essere il ruolo di Aru a partire dalla prossima stagione. Che si tratti di un corridore sopravvalutato è ingeneroso, urge però una riflessione necessaria affinché il diretto interessato e le parti in causa si ravvedano.
Un eventuale ridimensionamento potrebbe giovargli se non sarà possibile un ritorno concreto da grande protagonista come capitano per i Grandi Giri, l’importante è non veder bruciare del tutto un talento che ora si trova a un bivio nel momento più difficile della propria carriera.
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