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Armand Duplantis e quella voglia di toccare il cielo

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Il salto con l’asta è una delle poche discipline che tende al cielo. Quando la osserviamo, alziamo la testa, anziché abbassarla, come avviene per quasi tutte le altre. Da quando in pedana c’è Armand Duplantis, un po’ di più. A fine aprile nella prima tappa della Diamond League a Xiamen, ha realizzato l’ottavo record del mondo in quattro anni. Un altro centimetro conquistato, innalzandosi a 6.24 metri, con un margine sull’asticella di ben cinque centimetri. «Sulla schiena di Mondo c’era la mano di Dio» ha detto lo statunitense Sam Kendricks, campione del mondo a Londra 2017 e Doha 2019, l’ultimo re dell’asta prima dell’ascesa dello svedese. Sarà che ci riferiamo all’alto, al cielo, la sede di tutto ciò che è divino… E qualcosa di soprannaturale emerge anche dalle parole di Duplantis stesso, rilasciate il giorno prima in un’intervista a La Stampa: «La gente è allo stadio per vedermi, come minimo, tentare di toccare il cielo. Io voglio sentirla: quando volo alto e arrivo dall’altra parte, oltre l’asticella, entro in un’altra dimensione e avverto il respiro delle persone sugli spalti. È come un superpotere, sento tutto amplificato, suoni, sensazioni, emozioni».

È chiaro come Armand abbia un rapporto speciale con il cielo, fin da quando all’età di appena tre anni iniziò a saltare sulla pedana costruita nel giardino di casa a Lafayette. Sì, Stati Uniti, precisamente Stato della Louisiana. E sì, una pedana per il salto in alto in giardino, anziché una comune porta da calcio o un canestro da basket. Perché è figlio di Greg, astista statunitense, e Helena Hedlund, eptleta e pallavolista svedese. Da sempre allenato da entrambi i genitori, nel 2015, quando ha iniziato a gareggiare nelle competizioni internazionali, ha scelto la Svezia per la cittadinanza sportiva. «Perché in Svezia uno stadio di atletica leggera è comune quanto un campo da calcio o da baseball negli Stati Uniti». E così, pian piano, cominciò a imparare anche la lingua, guadagnando presto consensi nella sua nazione sportiva, dove trascorre abitualmente le estati, ad Uppsala, per tornare poi in Louisiana l’inverno.

Duplantis iniziò a detenere i record mondiali dai 10 anni d’età in su e presto anche tutti i titoli. Così, il soprannome affidatogli dai genitori, Mondo, diminutivo di Armand alla francese, iniziò a suonare profetico. Come sembra quasi rivelatrice la città in cui superò per la prima volta il primato mondiale di Renaud Lavillenie, che non poteva non essere il suo idolo («Ho sempre desiderato saltare come lui»). Nel meeting di Toruń, in Polonia, a febbraio del 2020, tre mesi dopo aver compiuto vent’anni, superò di un centimetro i sei metri e sedici del francese. Toruń è la città di Niccolò Copernico e quel meeting portava il suo nome: la Copernicus Cup, tappa Gold del World Athletics Indoor Tour. Copernico, un altro che aveva un rapporto speciale con il cielo. Subito dopo quel salto, Mondo disse: «Sono caduto sul materasso, ma non sono veramente caduto sulla Terra».

«Osservate più spesso il cielo. Quando avrete un peso nell’animo, guardate le stelle o l’azzurro del cielo. Quando vi sentirete tristi, quando vi offenderanno, quando qualcosa non vi riuscirà, quando la tempesta si scatenerà nel vostro animo, uscite all’aria aperta e intrattenetevi da soli col cielo. Allora la vostra anima troverà la quiete», scrisse Pavel Florenskij, filosofo russo d’inizio Novecento, ai figli nel suo testamento spirituale. Il salto con l’asta spinge a guardare il cielo, simbolo dell’infinità dello spazio e dei limiti umani, che Duplantis sta riducendo. Molto più prosaici erano i limiti che l’uomo superava alle origini di questo gesto atletico: saltando e facendo leva su un ramo si riusciva ad oltrepassare gli ostacoli naturali incontrati nel percorso, come i torrenti. Intorno al III secolo a.C. in Gallia ci si iniziò a sfidare al salto più lungo. Un movimento che dopo le prime grandi competizioni, nella prima metà del Novecento, fu definito presto «l’atto supremo dell’atletica leggera». Come scriveva Sports Illustrated nel salto con l’asta si trova «la sintesi di tutti i gesti di questo sport. Una specialità che combina la velocità di uno sprinter con la forza di un lanciatore di giavellotto e la molla e l’elasticità di un saltatore in alto». Bisogna saper controllare e coordinare ogni parte del corpo in terra e in aria. Raffinatezza di esecuzione e sensibilità unite alla potenza: la specialità più completa. E le difficoltà cominciano ben prima della gare, quando bisogna viaggiare per il mondo con la propria asta, in fibra di vetro, lunga dai 5,10 ai 5,15 metri. Una compagna di vita con cui in gara bisogna fondersi, sentirsi un tutt’uno, per non subirne le vibrazioni negative quando tocca la pedana. In quel momento l’energia della corsa deve trasferirsi verso l’alto: «Bisogna tenere le braccia più in alto possibile e sollevarsi da terra saltandoci sopra. Nessuno lo fa veramente alla perfezione, e noi ci lavoriamo sempre», ha spiegato una volta il padre-allenatore Greg, che fissa un limite orientativo del figlio sui 6.40 metri. Cifre vertiginose.

Duplantis ha viaggiato in aria più di tutti da quel salto di Toruń, arrivando fino a quei 6.24 metri ricordati inizialmente. Una misura che gli sta strettissima, ricordando l’ampio margine, già menzionato, con cui l’ha realizzata. Come ampi, a ventiquattro anni, sono i suoi stessi margini di miglioramento. Il viaggio verso vette inesplorate è appena cominciato. Un centimetro alla volta Duplantis mette la sua firma su altezze che sono state, per più di un ventennio, inimmaginabili per tutti. E di pari passo, nella cittadina svedese di Avesta, dove la madre Helena è cresciuta, il comune continua a innalzare un particolare monumento a lui dedicato: un’asta che mostra l’altezza del suo record. L’impressione è che in futuro dovranno metterci le mani più volte e per molti anni.

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Armand Duplantis durante la finale dei Giochi Olimpici di Tokyo 2020

Adesso Duplantis è entrato nella fase clou di questa significativa stagione, tra il vicinissimo debutto agli Europei di Roma e la partecipazione ai suoi secondi Giochi Olimpici, dopo quelli di Tokyo 2020. Una prima edizione stravinta, ma… «Le Olimpiadi di Tokyo le ho vinte, però non le ho vissute per via della bolla. Per questo desidero con tutto me stesso l’oro a Parigi». Nella capitale francese arriverà quindi un momento chiave della sua vita e della sua carriera. Ma prima Mondo vuole toccare il cielo sopra lo Stadio Olimpico, il cielo di Roma, che 2777 anni fa, il 21 aprile 753 a.C., gli auspici osservarono a lungo per decidere chi tra Romolo e Remo avesse il favore di Giove, dio del Cielo e re degli Dei, per la fondazione dell’Urbe. Il Cielo adatto per scrivere un’altra storica pagina dell’atletica leggera.


Immagine in evidenza a cura di Riccardo Seghizzi

Marco D'Onorio
“Lo sport avrà tanti difetti, ma a differenza della vita nello sport non basta sembrare, bisogna essere" (G. Mura). Fondatore di Vita Sportiva.

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