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Andre Agassi “un americano a…Melbourne”, quattro Australian Open e tanto altro

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29 gennaio 1995: trenta anni fa sui campi in cemento di Melbourne Park Andre Agassi conquista il suo primo Australian Open.
Nato a Las Vegas il 29 aprile 1970, Andre Agassi, sessanta titoli ATP, numero 1 della classifica ATP per centouno settimane e otto tornei dello Slam in bacheca.
Inserito nella International Tennis Hall of Fame nel 2001, Andre Agassi è l’unico tennista della storia, insieme a Novak Djokovic, ad aver conquistato tutte le categorie di tornei possibili per un tennista maschile in singolare: i quattro tornei dello Slam, la medaglia d’oro del singolare olimpico (ad Atlanta 1996), il torneo ATP Tour World Championship (1990), vecchio nome delle attuali Finals, gli ATP Masters Series (17), ATP 500 (6) e ATP 250 (27) e tre Coppa Davis (1990, 1992, 1995).

Andre Agassi e i suoi Australian Open

L’anniversario del primo successo Major di Agassi cade in questo inizio di 2025, segnato dalla doppietta di Jannik Sinner. Il numero uno al mondo ha vinto qualche giorno fa il suo secondo Australian Open consecutivo, sconfiggendo il teutonico Alexander Zverev, con il punteggio finale di 6-3 7-6(4) 6-3. Sinner è il più giovane tennista ad aver fatto il bis d’Oceania dai tempi di Jim Courier, anni 1992-93. Il fenomeno italiano è un adepto del tennis innovativo di Andre Agassi, fatto di risposte aggressive, colpi anticipati e grande reattività sulla palla, senza mai concedere campo agli avversari. Il successo dell’allora venticinquenne americano, suggellato dalla “Norman Brookes Challenge Cup”, gli porta in dote il terzo Slam della sua carriera, mostrando con forza crescente al mondo come il tennis stia cambiando.

Al contrario di Sansone, eroe biblico che traeva forza dalla sua lunga chioma, Agassi “the flipper” così ribattezzato per il suo stile di gioco iper-aggressivo sui courts, nel 1995 si aggiudica il suo primo Australian Open, pochi mesi prima di conquistare anche lo scettro di numero uno del mondo. Un anno straordinario, di rottura, in cui abbandona i capelli lunghi per un taglio corto sotto la bandana.

La finalissima di Andre Agassi con il rivale di sempre Pete Sampras

La sfida che in questi giorni “festeggia” il suo trentesimo anniversario vede Andre Agassi dinanzi all’avversario di una vita, il connazionale Pete Sampras. Un duello infinito, una rivalità a volte ruvida, che ha contribuito a far scrivere fiumi di inchiostro destinati alla cronaca sportiva e non solo. Per Andre Agassi il suo conterraneo Sampras è stato avversario, rivale, quasi un’ossessione sportiva.

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Andre Agassi solleva la sua prima Norman Cup nel gennaio 1995

Una sorta di Ivan Drago, la cui foto Rocky Balboa teneva ben fissa dinanzi allo specchio per caricarsi. Siamo nella quarta tappa della saga cinematografica dedicata all’immaginario pugile di Filadelfia. Insomma, un continuo testa a testa, un braccio di ferro che a bocce ferme e carriere finite chissà se si può definire pari e patta. Anche se i numeri propendono a favore di Pete Sampras. Una partita infinita, “me contro te”, Coppi contro Bartali, ma anche Beatles contro Rolling Stones, Duran Duran contro Spandau Ballet volendo saltare dallo sport alla musica, ispirati dal look stile punk di Agassi, con il quale si fece conoscere dal grande pubblico della racchetta.

Ma nella terra dei canguri, trenta inverni fa, pur partendo con il piede sbagliato e lasciando il primo set al rivale Pete per 4-6, Andre pareggia i conti prima con un netto e inequivocabile 6-1, poi passa in vantaggio con un infinito e appassionante terzo set, colpo su colpo per 7-6, infine rende pan per focaccia all’avversario. Sampras aveva iniziato conquistando sei games contro quattro, e lui il quarto e decisivo set lo concluderà esattamente con 6-4 a suo favore.

Andre Agassi fa il suo ingresso nell’albo d’oro degli Australian Open

Agassi fa così il suo ingresso nell’albo d’oro degli Australian Open, avvicinandosi prepotentemente al gradino più alto del mondo tennistico. La conquista degli Australian Open ha un valore specifico importante: è il primo dei quattro appuntamenti annuali del Grande Slam e dal 1988, anno in cui avviene il cambio di superficie, da erba a poliuretano e vetroresina (il cosiddetto Rebound Ace), il torneo ha trovato nuovi splendori e incontrato un rinnovato successo di pubblico e interesse. Dal 2020, per la precisione, espressione tanto amata in “Quelli che…il calcio” di Fabio Fazio e Marino Bartoletti, da Massimo (Alfredo Giuseppe Maria) Buscemi, i tennisti si sfidano sul “GreenSet”, una superficie sintetica in acrilico duro.

La svolta in Australia, prima di Andre Agassi

Il passaggio da erba al “cemento gommoso”, una svolta che ha riportato in auge il torneo e attirato di nuovo i big del tennis, che sino ad allora malvolentieri si dirigevano alla volta dell’Australia. Senza la presenza dei grandi divi, chiaramente, la competizione era diventata ben poco appetibile. Una rivoluzione era necessaria e gli Australian Open vengono ribattezzati “Happy Slam”, con una “hall of fame” che torna a partecipare alla competizione. I migliori tennisti del momento pronti a mettere il proprio nome nel tabellone e cercare un posto tra gli aspiranti vincitori.

Il cambio porta campioni come Mats Wilander, che proprio nel 1988 conquista il torneo per la terza volta contro il padrone di casa Pat Cash, mentre per le donne Steffi Graf, che di lì a qualche anno affiancherà al “titolo” di grande campionessa del tennis femminile quello di signora Agassi, avendo preso in sposo proprio il collega Andre.

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Andre Agassi e Steffi Graf in una esibizione a Parigi nel 2009

E poi nel 1989 e 1990 i successi di “Ivan il terribileLendl e nel 1991 di Boris Becker. Insomma, il dado era ormai tratto. Il primo Slam dell’anno aveva ritrovato smalto e antichi splendori, interesse ed emozione. Tutti pronti a rivolgere lo sguardo verso un nuovo modo di contendersi la coppa della terra dei canguri. Una pallina che prende traiettorie diverse rispetto all’erba. Uno stile forse più rapido, ma sicuramente coinvolgente. Il popolo del tennis è servito: gli Australian Open innovano e si rinnovano.

Il protagonista del 2000 nella patria del boomerang sarà ancora Andre Agassi, che solleverà il torneo a Melbourne di nuovo nel 2000, 2001 e 2003. Realizzando, come detto, dunque, una quaterna di Australian Open nel suo palmarès personale. E quale miglior “tappeto” di quello del “Rebound Ace”. La superficie dura, costituita da un’imbottitura di gomma, poliuretano, vetroresina, su una base in cemento armato, usata in quegli anni per i campi per esaltare il nomignolo “the flipper” di mister Agassi.

Andre Agassi il predestinato

Andre Agassi e i suoi fratelli crescono negli Stati Uniti, patria della madre Elizabeth Dudley e dove si era trasferito il padre: Emanoul Aghasi, di origini armene e assire. Pugile per il suo paese, l’Iran, nelle Olimpiadi del 1948 e del 1952, papà Agassi, infatti, aveva poi deciso di andare a Las Vegas. A lavorare in uno dei megaresort di proprietà del miliardario Kirk Kerkorian. Da cittadino americano diventa Mike Agassi e sposo, appunto, di Elizabeth. Grande appassionato di tennis, mister Mike sognava per i suoi quattro figli Rita, Philly, Tami e Andre un avvenire da campioni. Ci prova con tutti Mike Agassi e ci riuscirà proprio con il più piccolo, Andre. A due anni aveva già la prima racchetta in mano. Papà Agassi con il senno di poi si può dire che ci aveva visto giusto. Ma in un rapporto conflittuale padre-figlio, in una pressione che ha sempre sentito sul collo quel giovane capellone. Un capellone che sembrava uscito dalla band “Europe”, il gruppo musicale hair metal svedese che ha firmato l’indimenticato “The final countdown”.

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Andre Agassi e il suo inconfondibile stile 

E il “conto alla rovescia” era spesso anche quello di Andre Agassi per raggiungere la vetta, ma anche per togliersi l’ombra lunga, pesante, asfissiante del papà. Nella sua autobiografia dal titolo “Open”, per esempio, Agassi ha raccontato che il padre lo sottoponeva all’allenamento del “drago”. Ovvero una macchina lanciapalle modificata proprio da papà Mike per allenarlo a maggiori difficoltà. “Un bambino che colpisce un milione di palle all’anno sarà imbattibile”. Questo il mantra di Emanoul Aghasi divenuto Mike Agassi sotto l’egida della bandiera a stelle e strisce.
Nel 1987 vince il suo primo torneo come professionista, Nel 1992 il suo primo torneo di Wimbledon. La carriera è pronta a decollare, a volare, ma mai con quella libertà che si può collegare a tali verbi. Andre Agassi è stato, sempre, infatti, un tennista che vinceva odiando ciò che faceva. Uno sportivo che imbracciava la racchetta picchiando duro più che per vincere. Forse, per sfogare l’imposizione subita sin da bambino di dover essere, per forza, un campione di tennis.

Genio e sregolatezza, campione ribelle, tutto riassunto in uno stile di gioco ma anche in un look, in un outfit si direbbe oggi. E l’atteggiamento “contro” lo contraddistingueva anche nella rigida Accademia del monumento assoluto del tennis, Nick Bollettieri. La più importante e prestigiosa scuola se si voleva diventare tennisti, infatti, era in Florida. Era quella di Nicholas James Bollettieri, detto Nick, il più grande coach della storia del tennis, napoletano d’America, figlio di immigrati di origini partenopee. E Agassi che grazie alle conoscenze del padre riesce a fare pratica con divi della racchetta del calibro di Ilie Năstase e Jimmy Connors, nonostante provocazioni, atteggiamenti, si fa riconoscere da Bollettieri per il suo grande talento.

Nick Bollettieri al Tennis Club Capri con il Maestro Giuseppe Di Stefano,
unico arbitro italiano di una finale di Coppa Davis

Una carriera ad altissimi livelli fino ai primi anni duemila. Una vita sportiva come quella più che desiderata, quasi imposta da papà Mike, conclusasi nel 2006 quando dice definitivamente addio al mondo del tennis uscendo al terzo turno del torneo dal “suo” US Open.
In realtà sto cercando di nascondermi. Dicono che cerco di cambiare il tennis. In realtà sto tentando di evitare che il tennis cambi me. Mi definiscono un ribelle, ma non ci tengo ad essere un ribelle, sto solo cercando di portare avanti una normale quotidiana ribellione adolescenziale. Distinzioni sottili, ma importanti. In sostanza, non faccio altro che essere me stesso e poiché non so chi sono, i miei tentativi di scoprirlo sono maldestri e fatti a casaccio, e, ovviamente, contraddittori. Non faccio niente di più di quello che facevo alla Bollettieri Academy, resistere alle autorità, fare esperimenti con la mia identità, mandare un messaggio a mio padre, agitarmi contro la mancanza di scelta nella mia vita. Ma lo faccio su un palcoscenico più vasto”.
Parole e provocazioni dalle pagine della sua autobiografia “Open – La mia storia” di Andre “the flipper” Agassi, a trent’anni esatti dal suo primo Australian Open.

Immagine in evidenza: X @AndreAgassi

Marco Milano

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