Amarcord nasce con l’intenzione di riportare alla luce eventi, atleti, squadre e personaggi che hanno segnato la storia dello sport. Dai più noti a quelli meno conosciuti, uno sguardo all’indietro per ampliare la cultura sportiva anche di chi non ha potuto viverli in prima persona.
L’estate del 1991 è passata agli annali come una delle stagioni più calde del secolo scorso. Le barrette di mercurio di tutta Europa si stiracchiavano, come destate da un sonno atavico, facendo ballare le temperature ben al di sopra della media stagionale. Mentre i telegiornali si innamorano delle raccomandazioni di “bere molta acqua” ed “evitare di uscire nelle ore più calde, soprattutto se anziani o bambini”, la Grande Boucle porta i corridori a zonzo per le terre di Francia nel grande chaleur. Noi italiani si viene da una Milano Sanremo vinta con Chiappucci, il diavolo varesino, una Liegi Bastogne Liegi vinta per la quarta volta da Moreno Argentin e il Giro d’Italia vinto da Chioccioli, soprannominato “Coppino” per la somiglianza al campionissimo di Castellania. Il Tour riporta al solito LeMond la maglia gialla: l’anno prima se l’è vista brutta con Chiappucci, per via di una fuga bidone, e questa volta non vuole ripetere l’errore. Il campione americano è uscito alla ribalta nei ruggenti anni ottanta e questi anni novanta così ambigui e complessi sembrano non arridergli. Chiappucci, dal canto suo, con la sua rabbia agonistica ha già vinto in questa stagione la Milano Sanremo; l’anno prima è partito alla volta di Parigi con l’idea di vincere qualche tappa e forse la maglia a Pois e invece ha rischiato di vincerlo il Tour; quest’anno vuole vedere cosa succede puntando alla maglia gialla fin da subito. Gianni Bugno, si è presentato alla corsa francese in maglia tricolore e con i favori del pronostico del CT azzurro Alfredo Martini. E poi c’è Indurain, che ha fatto secondo alla Vuelta quest’anno, e ha vinto la prima vera cronometro individuale di questo Tour: chi è Indurain per ora? Solo uno spagnolo della Navarra che va bene in salita e a cronometro.
Il 19 luglio si arriva a Val Louron, sui Pirenei. Si scala il Pourtalet, l’Aubisque, il Tourmalet, l’Aspin e poi ancora su per arrivare a Val Louron. Desgrange, il patron del Tour, non amava i Pirenei: forse perché non sono eleganti e freschi come le Alpi, tanto che Gianni Mura scrive che li definisse “vinaccio” rispetto alle salite alpine. Il pic d’Espade a sud e il più imponente pic du Midi de Bigorre a nord, sorvegliano il valico del Tourmalet, la cui etimologia secondo alcuni sarebbe “la strada malvagia”. I due massici hanno visto passare nel 1675 Madame de Maintenon che portava il piccolo Luis Auguste al centro termale di Barèges: dopo più di trecento anni i due monti attendono il passaggio dei corridori, pazienti nei confronti dei detrattori come Desgrange. In cima all’Aubisque Bugno con un allungo misura la temperatura, del resto va di moda quest’anno, ma Fignon riporta sotto il gruppo dei migliori: tutto rimandato al Tormalet. La lunga salita si spoglia progressivamente di vegetazione. I corridori lasciano la vegetazione boscosa per rimanere a farsi arrostire dal sole nei pascoli del passo pirenaico. L’ascesa è sfiancante, più di 18 km per raggiungere le pareti di ghiaia della cima. I tornanti disegnano un serpente d’asfalto che si arrampica sui pendii erbosi e si assottiglia man mano che la vetta si avvicina, arrivando a lambire la base delle pareti di roccia. A metà salita i migliori sono ancora tutti insieme: c’è chi aspetta che la Banesto di Indurain faccia qualcosa, ma si sa, l’attendismo è spagnolo. Il caldo è asfissiante, del resto siamo sui Pirenei, le brezze alpine qui i corridori se le possono scordare. LeMond ci prova ad allungare, ma non è giornata, forse si è idratato male, forse fa troppo caldo, e il suo allungo sembra più un bluff che un salto per spiccare il volo. Indurain, Chiappucci, Bugno e tutti gli altri si riaccodano. La maglia della Carrera di Chiappucci, blu e bianca con il simbolo della cedrata Tassoni, fende la folla: dietro a lui come un’ombra Indurain, anche lui in maglia bianca e blu, della Banesto nel suo caso. Nelle ultime centinaia di metri LeMond alza bandiera bianca e si attarda di una manciata di secondi, “poco male”, pensa, “in discesa c’è tempo di rientrare”. Chiappucci scollina per primo tra i giganti di roccia mentre il boato della folla rimbomba tra le pareti di pietra. E in discesa avviene l‘impensabile: Indurain attacca; uno spagnolo che attacca in discesa è un evento incredibile. Indurain non solo attacca ma guadagna anche un buon vantaggio. Raggiunta Saint-Marie-de-Campan, dove il leggendario Eugene Christophe aggiustò la forcella spezzata facendosi prestare gli attrezzi da un fabbro, Chiappucci sente le “campane”: El Diablo è un corridore che attacca, che aggredisce la corsa per zittire chi lo considera un clown e per far balzare in piedi il pubblico. Chiappucci è un corridore che ama le tappe in cui si può fare saltare la corsa e quella di oggi è una di queste. Pochi minuti dopo Saint-Marie-de-Campan il corridore varesino raggiunge Indurain e aggredisce l’Aspin.
Dietro alla coppia al comando sono rimasti Bugno, Mottet e Fignon mentre ancora più indietro Lemond che nel suo affondare viene salvato dal connazionale Boyer. Chissà se in questo frangente Boyer avrà tirato ancora fuori la storia del mondiale di Goodwood, quando lui stesso era scattato in vista del traguardo e Lemond gli era corso dietro compromettendo, a suo dire, le sue chance di vittoria. I due americani non si amano, ma la strada ora li costringe a mettere da parte le reciproche velleità. Dopo l’Aspin arriva l’ultima salita di giornata verso val Louron, Bugno, con la sua maglia tricolore, lascia la compagnia del corpulento francese in maglia blu della Castorama, Fignon, e del meno corpulento Mottet. La progressione è micidiale, composto, col rapportone, Bugno si invola con eleganza verso il traguardo. Bugno è elegante, malinconico come un nobile inglese, estremamente forte, ma poco incline alla cattiveria agonistica. Chiappucci vince la tappa, Indurain la maglia gialla e Bugno completa il podio un minuto e mezzo dopo; gli altri tutti dietro con distacchi pesanti. Nel proseguo del Tour Bugno vincerà sulla sua montagna, l’Alpe d’Huez, ma senza mai scrollarsi di dosso il navarro di Pamplona. Il Tour andrà a Indurain, così come i quattro successivi. A settembre Bugno vincerà il suo primo mondiale e l’anno seguente il secondo, a Benidorm, davanti al francese Jalabert. In quell’occasione, dopo la vittoria, Beppe Conti lo trovò pensieroso, quasi crucciato, in attesa della premiazione. A suo dire infatti, Bugno era desolato che un campione come Jalabert, non avesse vinto. Nello stesso anno, il 1992, Chiappucci fece l’impresa per far saltare il Tour: attaccò da lontano nella tappa alpina del Sestriere e arrivò da solo sul traguardo. Di quella tappa colse la vittoria e la gloria che seguì il suo gesto atletico, ma Indurain rimase inarrivabile in classifica. Nonostante la classe di Bugno e l’energia di Chiappucci, nessuno degli italiani di quegli inizi anni novanta riuscì a salire sul gradino più alto del podio del Tor de France. Il talento di Bugno era indiscusso tanto che Gimondi scrisse che una delle “ingiustizie” da parte del ciclismo, fu proprio la mancata vittoria di Bugno al Tour de France.
Nel 1960 gli Yankees fecero una splendida stagione ma persero la finale contro i Pittsburgh Pirates nella seconda metà del nono inning. A quella stagione si fa riferimento nella pellicola “Scoprendo Forrester” con un articolo intitolato “Una stagione di fede assoluta”. La stagione d’oro di Bugno e Chiappucci ha donato tanta fiducia al ciclismo italiano, nonché spettacolo: quello che è mancato, la vittoria al Tour, l’ha resa una stagione di grandi aspettative senza cedere al rammarico per il coronamento mancato.
Immagine in evidenza: ©Gazzetta dello Sport
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