“Amarcord” nasce con l’intenzione di riportare alla luce eventi, atleti, squadre e personaggi che hanno segnato la storia dello sport. Dai più noti a quelli meno conosciuti, uno sguardo all’indietro per ampliare la cultura sportiva anche di chi non ha potuto viverli in prima persona.
Abbiamo seguito un filo azzurro per entrare nella storia della Milano-Sanremo: emozioni, aneddoti, delusioni.
Due successi strappati a Costante Girardengo
Senza quei due tragicicomici episodi Costante Girardengo sarebbe stato il recordman della Milano-Sanremo. Il “Gira” si fermò a sei vittorie e detenne il primato fino al 1976, quando Eddy Merckx conquistò per la settima volta la Classicissima di Primavera. Costante subì due drammi sportivi sulle strade liguri, entrambi ad un passo dal traguardo quando il successo era sicuro. Il primo nel 1915, alla sua seconda partecipazione nella corsa. Sul Capo Berta (l’ultima asperità del percorso fino al 1982, l’anno in cui furono introdotti definitivamente Cipressa e Poggio) Girardengo ha tre minuti di ritardo nei confronti di un terzetto in testa. Mancano 23 chilometri di pianura all’arrivo e con una progressione micidiale li riprende. Ha la vittoria in tasca, quando nell’attraversamento dell’ultimo borgo sbaglia strada passando per il centro cittadino anziché aggirarlo. Una differenza di 180 metri in meno che dopo il trionfante arrivo a Sanremo, con cinque minuti di vantaggio sul secondo, gli costerà la vittoria. Quindi Girardengo avrebbe vinto comunque senza l’inconsapevole scorciatoia, ma la giuria non esita a squalificarlo. Seguirono inevitabilmente polemiche a non finire che giovarono ai giornali e agli organizzatori del Velodromo Sempione di Milano. Soprattutto a quest’ultimi, perché misero Ezio Corlaita (il vincitore) e Girardengo uno di fronte all’altro in una prova ad inseguimento come “sfida della verità”. Al Sempione c’era il tutto esaurito e il Gira stravinse raggiungendo il corridore bolognese dopo pochi giri. Ciò acuì ulteriormente il rimpianto di Girardengo che sempre protestò per questo successo strappato.
Il secondo rocambolesco episodio va in scena nel 1922, quando Girardengo è già diventato il primo “Campionissimo” (il secondo sarà Fausto Coppi, di cui parleremo subito dopo). Teatro decisivo della corsa è ancora il Capo Berta, dove il corridore di Novi Ligure stacca tutti tranne Giovanni Brunero. Un avversario facile in volata per Costante, ma a 200 metri dall’arrivo si ritrova con i bastoni tra le ruote, nel vero senso della parola. Lo sprint è già partito e Girardengo è in testa, quando un addetto al servizio d’ordine a bordo strada si esalta e lo vuole già abbracciare. Ci riesce ma gli infila inavvertitamente la bandierina di segnalazione fra i raggi della ruota. Il “Gira” cade e Brunero vince la Sanremo. Un epilogo ai limiti del reale che priva Girardengo di un’altra vittoria.
La leggendaria Sanremo della rinascita
Fausto Coppi conquistò la Milano-Sanremo tre volte (1946, 1948, 1949). Il successo più bello fu senza dubbio quello del ’46. La guerra è finita e si può finalmente riprendere a correre. Infatti quell’edizione della Classicissima di Primavera segna l’inizio della rinascita del Bel Paese, dove il ciclismo era lo sport nazionale. Quel 19 Marzo entra inoltre nella storia del ciclismo per un’impresa epica di Coppi. Quest’ultimo poco dopo pochi chilometri dal via entra nella fuga di giornata insieme ad altri tre corridori. Sulla prima vera ascesa, quella del Turchino, allunga e resta presto solo. Mancano ancora 151 chilometri al traguardo, è una follia. Ma non per il Campionissimo che va a firmare, pedalata dopo pedalata, una vittoria leggendaria. Giunge a Sanremo tra la folla estasiata con 14 minuti di vantaggio sul secondo classificato, Lucien Teisseire. È in quell’occasione che Niccolò Carosio, il celebre radiocronista, esclama: “Primo Fausto Coppi. Nell’attesa che arrivino gli altri concorrenti, vi trasmettiamo un po’ di musica da ballo”. “Fausto Coppi non vede più nessuno dal Turchino a Sanremo e piega alla sua volontà indomita ogni ostacolo della corsa sfinge” titola il giorno dopo la Gazzetta dello Sport. L’Italia ritrova il suo campione e torna a sognare attraverso lo sport.
A cura di Marco D’Onorio (@Laemmedimarco)
– Leggi anche: Un libro con VS: “Il suo nome è Fausto Coppi” di Maurizio Crosetti
I capolavori di Saronni e Moser
Il decennio degli anni Ottanta ha rappresentato un’epoca d’oro per il ciclismo mondiale e italiano. I colori azzurri erano capitanati da due magni interpreti del ciclismo: Francesco Moser e Giuseppe Saronni. In quegli anni epiche battaglie si inscenavano nei grandi giri, e imprese, da narrare nei libri di storia, venivano compiute nelle classiche monumento. La Milano-Sanremo, che negli anni precedenti aveva vissuto il dominio belga ad opera di Eddy Merckx e Roger De Vlaeminck, esordisce nel nuovo decennio con l’exploit vittorioso del bresciano Pierino Gavazzi. Ma i due successi, tutt’oggi ricordati dagli appassionati italiani, sono gli arrivi in solitario al traguardo di Via Roma di Saronni nel 1983 e Moser l’anno successivo nel 1984.
Il 19 marzo 1983 dalla città di Milano scatta la settantaquattresima Classicissima. Alla partenza in maglia iridata c’è il milanese d’adozione Giuseppe Saronni, reduce da un finale di stagione ricco di successi con i trionfi nel famoso mondiale di Goodwood e il Lombardia. Per il giovane venticinquenne, in forza alla Del Tongo, la voglia di conquistare un successo alla Milano-Sanremo, che già per tre anni consecutivi gli aveva riservato la piazza d’onore, è un sogno quasi proibito. La corsa si infiamma già all’altezza del Capo Berta sotto gli attacchi insistenti di Moser e Saronni. Subito si denota che sarà una gara selettiva e per veri fuoriclasse. Nell’ultima asperità, il Poggio, il gruppo di testa è composto da una quindicina di uomini. All’inizio del falsopiano finale, prima di lanciarsi a capofitto davanti al santuario di Nostra Signora della Guardia, Saronni con uno scatto terrificante semina la concorrenza che tergiversa nell’inseguirlo. Il divario aumenta, imbocca la discesa con decisione e traccia delle traiettorie al limite sfruttando tutta la carreggiata. Sbuca sull’Aurelia e, oramai consapevole dell’impresa che sta per compiere, inizia a sorridere e gioire. I pochi metri mancanti vengono macinati dalla potenza delle sue gambe e in un bagno di folla alza le braccia al cielo facendo risplendere l’arcobaleno stampato sulla sua divisa. Vince da dominatore, quello scatto impetuoso era e sarà protagonista di tante vittorie nel corso della sua carriera; intanto con questa vittoria si aggiunge al club ristretto dei vincitori della Milano-Sanremo in maglia di campione del mondo, prima di lui solo Alfredo Binda, Eddy Merckx e Felice Gimondi.
Un anno dopo, più precisamente il 17 marzo 1984, il meglio del ciclismo mondiale è alla partenza della prima classica monumento dell’anno. Tra di loro un fresco recordman dell’ora, capace di spingersi per ben due volte oltre il precedente primato stabilito dal Cannibale: il suo nome è Francesco Moser. Le sue gesta erano più che mai acclamate e i giornali erano concentrati a raccontare del campione trentino. Ovunque andasse era un trionfo. Sulle ali della vittoria si accingeva a prendere il via per una delle poche corse non ancora nel suo palmares. La prima parte di gara la fanno da padrone freddo e pioggia, rendendo insidiosa ogni singola curva ed eliminando parte della concorrenza più agguerrita. Scendendo da Cipressa, Moser sfoggia le sue abilità da funambolo in bicicletta staccando corridori del calibro di De Vlaeminck e Raas. Era una prova di quello che avremmo visto poco dopo, quando tentò un secondo attacco in discesa dal Poggio. Guadagnò quei pochi secondi che a un cronoman come lui bastarono e avanzarono. Arrivò a braccia alzate acclamato dai suoi tifosi. A breve, per la precisione a maggio, donerà loro un altro grande trionfo: il Giro d’Italia.
– Un anno fa esatto per colmare il vuoto di sport abbiamo scritto questo: L’ultimo decennio della Milano-Sanremo
Le triplette azzurre nel nuovo millennio
All’inizio del nuovo millennio l’Italia visse uno dei momenti più rosei della propria storia nel ciclismo mondiale. Successi e piazzamenti di rilievo fioccavano ovunque, sia che si parlasse di Classiche sia di grandi Giri. Questo movimento florido di talento non risparmiò neanche la corsa più lunga, la Milano-Sanremo. Nel 2003 e successivamente nel 2006 vi furono due triplette azzurre, da lasciare tutti a bocca spalancata.
Nel 2003 alla partenza da Milano, Mario Cipollini, vincitore della precedente edizione, vestiva la maglia arcobaleno conquistata in Belgio a Zolder. Come spesso accadeva gli occhi dei media erano tutti per lo statuario corridore della Domina Vacanze: Mario aveva preparato la Classicissima di primavera come mai aveva fatto. Stupì tutti per la tenuta in salita e scollinò sia Cipressa che Poggio in testa al gruppo, lasciando quasi attoniti anche i commentatori Auro Bulbarelli e Davide Cassani. Nel lungo tratto di falsopiano dell’ultima ascesa, prima di involarsi verso Sanremo, Paolo Bettini si scatena. Libera tutta la sua potenza e si avvantaggia rispetto al plotone principale, si trascina dietro l’amico e compagno di squadra Luca Paolini e Mirko Celestino, autore di una prova magistrale. Il vantaggio è minimo, si parla di pochi secondi, la concitazione cresce tra il pubblico presente. Arrivati in via Aurelia il giovane Paolini si incarica di mantenere il distacco invariato, dietro gli uomini veloci faticano ad organizzare i treni per rincorrere i fuggitivi. Oramai è troppo tardi, i tre si giocano tutto in volata. Paolini lancia Bettini che semina dalla sua ruota Celestino e il toscano si lascia alla felicità del trionfo alzando le braccia al cielo. Al traguardo ci saranno ben cinque italiani nelle prime cinque posizioni, un risultato da encomio.
Il 2006 è passato alla storia come l’anno di Operation Puerto e gli scandali legati al doping. In un anno buio e pieno di tristezza, la poca luce scorgibile dalla serratura proviene dai successi di grandi campioni. I favoriti per la Milano-Sanremo sono Alessandro Petacchi, che veste i colori della Milram, e il campione del mondo Tom Boonen, capitano della corazzata Quick-Step. Sin da Capo Berta si iniziano a vedere i primi scatti, è un continuo rodeo di corridori che si alternano in testa alla corsa. All’imbocco della salita del Poggio è un liberi tutti, in avanscoperta distanziati di pochi secondi troviamo nomi di spicco: Andy Schleck, Alessandro Ballan, Samuel Sanchez e Filippo Pozzato. Finita l’ultima discesa si ritrovano in sei al comando, ma non si trova l’accordo tra i fuggitivi e gli scatti continuano. Il gruppo dietro rincorre all’impazzata la testa della corsa, gli uomini di Thor Hushovd e Petacchi spremono le ultime forze rimaste in serbatoio per portare i loro capitani a giocarsi la vittoria allo sprint. All’altezza della flamme rouge la situazione sembra essere di gruppo compatto e il destino segnato per gli intrepidi attaccanti. Rinaldo Nocentini non ci sta, rilancia l’andatura e Pozzato come un segugio balza alla sua ruota. Siamo ai meno 350 metri dallo striscione che permette di entrare nella leggenda. Pozzato lancia una volata lunghissima, seguito a pochi metri da Petacchi. Il corridore della Milram, con gli occhi della tigre, ha un solo obbiettivo: riprenderlo. Pozzato resiste e alza le braccia al cielo, secondo Petacchi in grande spolvero e sul gradino più basso del podio sale ancora Luca Paolini beffando Tom Boonen, che già festeggiava per la vittoria del suo compagno di squadra. Un’altra storica tripletta da festeggiare per i tifosi italiani e l’augurio è di provare quelle emozioni il prima possibile: sabato c’è già un’altra possibilità.
A cura di Mirko Efoglia (@MirkoEfoglia)
Immagine in evidenza: ©Gamma-Keystone, Getty Images
Bibliografia: Beppe Conti, La grande storia del ciclismo, Graphot Editrice, 2017
Comments