Amarcord è una rubrica che nasce con l’intenzione di riportare alla luce eventi, atleti, squadre e personaggi che hanno segnato la storia dello sport. Dai più noti a quelli meno conosciuti, uno sguardo all’indietro per ampliare la cultura sportiva anche di chi non ha potuto viverli in prima persona.
Luglio 2017, il Tour de France scandiva le nostre giornate. A contagiarci, ma di gioia, ci pensava Fabio Aru. Il Cavaliere dei Quattro Mori scelse la quinta tappa, il primo arrivo in salita della Grande Boucle 106 per infliggere una stoccata memorabile. Lo scenario fu quello de’ La Planche des Belles Filles, affascinante cima dei Vosgi nella Borgogna. Una vetta speciale per noi italiani: nel 2014 con un attacco dei suoi Lo Squalo, Vincenzo Nibali, conquistava tappa e maglia, tre anni dopo vinse Aru e nel 2019 Giulio Ciccone arrivò vicinissimo alla vittoria (seconda piazza, pochi metri dopo Dylan Teuns), ma riuscì a vestire ugualmente la maglia gialla.
Tornando a quel 5 Luglio 2017, fin dalle prime ore del mattino non si parlava di altro se non dell’episodio che aveva caratterizzato la tappa del giorno precedente e delle decisioni prese a riguardo dalla giuria della corsa. Protagonisti furono Mark Cavendish e Peter Sagan, al centro di una vicenda sul quale capita di tornare a discutere ancora. Lo slovacco fu inizialmente penalizzato con 30″ in classifica e in un secondo momento squalificato con l’accusa di aver ostacolato Cavendish nella volata e averlo spinto verso le transenne.
Mentre la Carovana discuteva dell’uscita di Sagan dalla Grande Boucle ci si avvicinava al traguardo. Dopo aver percorso più di 150km senza difficoltà altimetriche Philippe Gilbert e Jan Bakelants, gli unici superstiti della fuga di giornata, mollano per far spazio al gruppo scremato dall’andatura dell’allora Team Sky. Ai -3km i corridori più accesi e destinati a tagliare per primi il traguardo sembrano essere Richie Porte e Chris Froome, ma spunta una maglia tricolore davanti a tutti. Colui che indossa la maglia da Campione Italiano è proprio Fabio Aru, che con la solita espressione apparentemente segnata dalla fatica, si alza sui pedali e nessuno riesce a seguirlo. Nell’ultimo km il sardo dà il via ad una danza scomposta ma efficace, nessuno può più raggiungerlo. I 100m finali posti proprio dove la strada rimpiana bruscamente offrono uno scenario fantastico, dando vita così alla foto-cartolina più bella della carriera attuale di Fabio. Il pugno al cielo e l’urlo di gioia resteranno sempre impressi nella mente di ogni appassionato.
Fabio Aru quell’anno non aveva programmato il Tour de France, ma riuscì a rimanere competitivo per le tre settimane di corsa, in grado di far sognare tutti i tifosi italiani. Frenato dalla bronchite sulle Alpi, non accompagnato da una grande squadra (il Team Astana si concentrò sul Giro) concluse comunque al quinto posto nella classifica generale. Nel ricordo di quel Tour, dopo La Planche des Belles Filles e prima degli Champs Élyseés, non possiamo non menzionare l’arrivo di Peyragudes dove nel durissimo strappo finale Aru stacca Froome e conquista la maglia gialla, ripresa due giorni dopo dal britannico.
Venerdì 3 Luglio il Cavaliere dei Quattro Mori ha festeggiato i suoi trent’anni e il nostro augurio, ricordando uno dei momenti più belli della sua carriera, è di togliersi tante altre grandi soddisfazioni, seppur in molti sempre meno intravedono un futuro da protagonista nella generale dei Grandi Giri. A Settembre ci siamo interrogati sul suo futuro in questo articolo. Forza Cavaliere, vogliamo ancora sognare con te!
Immagine in evidenza: ©Twitter, @LeTour
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