Calcio

Aldo Agroppi e l’ultimo saluto negato dal “sistema moderno” che tanto criticava

0

Come una perfetta sintesi. Il calcio moderno, business e grandi affari. L’Arabia e motivi di opportunità per tacere se i nomi del calcio che in Italia ricordiamo a memoria ci lasciano. Come Aldo Agroppi. “L’antijuventino”, il “Cotenna”, Il “toscanaccio controcorrente”. Ricordava in qualche modo Curzio Malaparte. Con i suoi modi impetuosi di provocare e indignarsi, la sua passione autentica e genuina per un calcio che ha segnato tutta la sua vita ma che non lo entusiasmava più. O meglio, non sentiva più ribollire il sangue se vedeva o gli veniva chiesto di commentare quello di Serie A e della Champions.

Ma da autentico uomo di calcio non ha disdegnato sino all’ultimo di una vita fatta di ottanta, intensi, anni, di seguire e conversare su compagini toscane che magari disputavano le gare nei campionati di Eccellenza o Promozione. Vicino casa, la sua Piombino dove ha aperto e chiuso gli occhi. Facendo la vita che voleva, come amava raccontare. E da “Cotenna”, da quello che nella patria di Dante Alighieri significa essere uno dalla pellaccia dura, un guerriero, gli piaceva sottolineare che aveva sempre detto no e contrastato i lacchè. In fondo ha vissuto come il suo spirito. Pagando, spesso, per essere “anti”.

E chissà che non abbia volto a suo favore quel male subdolo e che accompagna tante persone tutta la vita. La depressione. L’oscurità che spesso ti fa vedere annebbiato ma che forse ad Aldo Agroppi faceva vedere senza filtri. Senza compromessi. E giù con i giudizi netti. Tranchant. Da uomo senza mezze misure. Da toscanaccio che diceva le cose in faccia.

Il titolo di “Cotenna” gli venne conferito da Lido Vieri, uno del cosiddetto clan di Piombino. Insieme a loro anche Nedo Sonetti, altro uomo di calcio rude e sincero. Sergente di ferro ma con un gran cuore. E il cuore è stato sempre un tratto distintivo di mister Agroppi. L’umano che sbaglia. L’umano con limiti e difetti. Niente macchina perfetta. Calcio sano di chi viene dalla povertà. Famiglia e amici, mediano in campo. “Una vita da mediano. Lavorando come Oriali. Anni di fatica e botte” canta Ligabue. E anche Aldo Agroppi è stato lì “a recuperare palloni. A giocare generosi”.

I suoi anni d’oro da calciatore al Torino

Da calciatore senza dubbio il fulcro della carriera è stato con la maglia del Torino. Debutto in granata nel giorno in cui perde la vita Gigi Meroni. Un mito assoluto, controcorrente. Come Agroppi, che di quel Toro si è perdutamente innamorato. Fu uno degli artefici della rinascita granata, il viatico per ridare entusiasmo ai tifosi. Una squadra che alleggerì la malinconia per il Grande Torino e la tragedia di Superga. Il mediano Aldo Agroppi a “giocare generoso” e contribuire a sollevare due Coppe Italia (1967-1968 e 1970-1971), antipasto di uno scudetto arrivato qualche anno dopo (1975-1976). Ma lui era appena andato via.

Embed from Getty Images

Poi, a Perugia. A fare il capitano e chiudere la carriera. E incrociare il suo destino con un altro calciatore maledettamente sfortunato e andato via troppo presto. Renato Curi. Aldo Agroppi lascia il calcio. E pochi mesi dopo, il suo compagno di squadra, con la loro maglia del Grifo, Renato, si accascia al suolo. Quello stadio si chiamerà “Curi”, il suo nome. Il “toscanaccio” che per una strana combinazione fa il suo esordio nell’amato Torino nel giorno dell’addio a Gigi Meroni. E che si ritira dal calcio con la maglia del Perugia a qualche mese dall’altrettanto tragica fine del giovane compagno Renato.

Mister Aldo Agroppi: Fiorentina e non solo

L’allenatore Aldo Agroppi, che in più riprese a inizio carriera si è accomodato anche sulla panchina del Perugia, transita per Pescara e poi il suo, primo, grande successo da tecnico. Promozione in serie A con il Pisa di Romeo Anconetani. Doppio miracolo: andare d’accordo con un presidente più fumantino di lui e vedere un livornese (Piombino fa parte della provincia) esultare per il Pisa e la sua salita nel massimo campionato. Poi il primo campanello di un acerrimo nemico con il quale ha combattuto tutta la vita. Panchina del Padova ma addio anticipato alla cittadina di Sant’Antonio per quello che all’epoca veniva archiviato come esaurimento nervoso. Ma non demorde. Ritorna nella Perugia che gli ha dato soddisfazioni e quasi restituisce il favore: quarto posto in serie B, a un solo punto dalla promozione. Una sola sconfitta. Un piccolo primato per la serie cadetta.

Aldo Agroppi con la maglia del Perugia

Poi arriva la Serie A. Il toscano che va in Toscana. Nella casa madre, Firenze e la Fiorentina. Un rapporto tormentato però. Quarto posto di tutto rispetto da un lato, ma scontri con i tifosi per aver osato “toccare” il mito Giancarlo Antognoni. I toscani si dice che siano duri e con un caratteraccio… A Como prima e Ascoli poi, purtroppo mister Agroppi non lascia nulla di buono.

Ultima panchina da allenatore sarà proprio la Fiorentina

Mesi turbolenti che hanno fatto parlare e non poco. Aldo Agroppi è ormai gettonatissimo opinionista tv. E dalle telecamere critica tutto e tutti, e spesso anche Vittorio Cecchi Gori, focoso vicepresidente della Fiorentina che il presidente, papà Mario, prova a placare con la sua saggezza. Ma non sempre ci riesce. E infatti il 3 gennaio 1993 il numero due della Viola caccia letteralmente l’allenatore Gigi Radice. Un esonero clamoroso. La compagine gigliata, infatti, Brian Laudrup, Baiano e Batistuta, tra le sue punte di diamante, era al secondo posto, e solo per una combinazione di risultati scivola in sesta posizione dopo una sola, singola sconfitta, che però Cecchi Gori, Vittorio non Mario, ritenne decisiva per cambiare allenatore. Forse non gradiva il gioco a zona che però sulla riva dell’Arno aveva portato bel gioco e tifosi entusiasti. E chi viene scelto? L’ormai affermato opinionista tv Aldo Agroppi. Che torna in tuta e sul campo. A parlare “con” i calciatori e non “di” calciatori. Ma forse il calcio era già cambiato. Non era più il suo. Squadra schierata “a uomo”. Rapporti schietti nello spogliatoio. Niente compromessi e concessioni con i calciatori, ormai divi paragonabili agli attori. Mister Agroppi va via prima di una clamorosa retrocessione. E torna a commentare senza peli sulla lingua.

“Non so parlare sottovoce”

Radio, tv locali, giornali. Intanto anche libri (“A gamba tesa. Frustate e qualche carezza” e “Non so parlare sottovoce”) e addirittura nel mezzo il ritorno in campo nel 2007, con gli ex compagni di squadra Angelo Cereser e Nedo Sonetti, nella squadra Euroturist di San Vincenzo. Campionato amatoriale. Ma vero. E che gli piaceva seguire negli ultimi anni forse ben più del calcio professionistico. Dove il “Cotenna” non si riconosceva più, calciatore con cinque presenze in Nazionale.

Embed from Getty Images

Granata a vita. Appassionato e grande esperto di musica. Collezionista di vinili da fare invidia ai migliori musicologi. Innamorato delle isolette della sua Toscana. Aveva espresso il desiderio, mai esaudito, di guidare un giorno dalla panchina il suo amato Torino. Controcorrente e contro i compromessi. Tra le forche caudine dei suoi commenti taglienti ci è finito anche il compaesano Luciano Spalletti. Definito “un prete che voleva spiegare a Totti come si gioca”.

Sicuramente starà stigmatizzando il fatto di non essere “salutato” a Riad in occasione della Supercoppa Italiana per motivi di opportunità. In Arabia Saudita il silenzio non equivale al lutto. E si rischiavano sgradevoli fischi già sofferti per due monumenti del calibro di Franz Beckenbauer e Gigi Riva. Ora Aldo Agroppi ne starà parlando con un altro Aldo, Biscardi, per metterci su un “Processo” di quelli di un tempo, polemiche e discussioni. Bar dello sport” viscerali e sinceri. Come il calcio di un tempo.

Immagine in evidenza: © X, Iltorosiamonoi

Marco Milano

Comments

Comments are closed.

Login/Sign up