L’NBA contemporanea ci insegna come si possano stravolgere equilibri apparentemente stabili anche nel giro di pochi mesi. I cambi di maglia sempre più frequenti delle stelle della Lega ridisegnano con facilità la geografia del campionato e chi ha programmato nel tempo, e intende raccogliere i frutti, è chiamato a farlo in fretta per non rimanere indietro. Saper cogliere l’attimo è essenziale. Se c’è una squadra che esemplifica il concetto, quella è Boston.
La scorsa stagione i Celtics si presentavano come i principali rivali dei Golden State Warriors; i netti favoriti a Est forti di un roster completo, che ritrovava Gordon Hayward e Kyrie Irving in aggiunta ad Al Horford, Jayson Tatum, Jaylen Brown e una panchina profonda. Tutto era apparecchiato per andare all-in, concretizzare gli sforzi e le attese del passato e puntare al bersaglio grosso. Ma nulla è andato per il verso giusto. Boston si è rivelata la delusione più grande del 2019.
La squadra che si affaccia in questi giorni alla nuova stagione è profondamente diversa, negli uomini e nello spirito. Perché non ci sono più Horford e Irving (oltre a Terry Rozier) e perché l’ultimo anno ha scavato nell’anima del gruppo un solco pieno di incertezze. Ma come nessuno si è mai tirato indietro di fronte alle previsioni positive del passato, anche in questo caso, chi di dovere, ci mette la faccia. Quando si parla di Boston, il nome è uno solo: Danny Ainge. “L’anno scorso ci chiedevamo quando avremmo trovato la chimica giusta. Non c’erano dubbi su quanto talento avessimo. Ora la domanda è: ‘Siamo abbastanza forti?'”.
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— NBA (@NBA) October 3, 2019
Il principale volto nuovo dei Celtics 2019/2020: Kemba Walker
Dubbi legittimi, d’altronde l’estate ha messo di fronte i Celtics a scelte complicate. La firma di Kemba Walker, la migliore possibile tolte le superstelle di prima fascia, ha ingolfato lo spazio salariale rendendo impraticabile confermare Al Horford, probabilmente il giocatore più importante nel sistema di Brad Stevens. La rinuncia si è resa necessaria, per quanto la ferita continui a sanguinare ancora oggi. “Al faceva di tutto: tirava da tre, attaccava il canestro e sapeva difendere più posizioni. Lo dovremo sostituire con diversi giocatori; non ce n’è uno che gli somiglia”, dice Ainge.
Da quando Stevens si è seduto sulla panchina e ha potuto allenare roster con sufficiente talento, Boston è sempre stata una delle migliori squadre difensive (meno lo scorso anno, nona della NBA). Ecco perché, forse ancora più di Irving (che ha dato raramente l’impressione di avere impatto fino in fondo nella squadra) sarà l’addio di Horford a farsi maggiormente rimpiangere. Non è un caso che Ainge batta su questo tasto nell’interrogarsi sulla futura identità della squadra: “Siamo sempre stati una buona squadra difensiva negli ultimi anni, per cui mi preoccupo per i possibili passi indietro che potremmo fare. Abbiamo bisogno che tutti facciano uno sforzo in difesa”.
Non è certo un anno zero quello che attende Boston, ma gli somiglia. La squadra ha conosciuto il suo punto di rottura, arrivato a sorpresa e in anticipo, rispetto a un progetto di pallacanestro che nelle intenzioni doveva abbracciare un orizzonte più ampio. E ora è chiamata a ripartire. C’è chi firmerebbe per farlo con Walker, Hayward, Tatum e Brown come nucleo centrale, c’è di peggio sicuramente. Ma non sarà comunque semplice.
Soprattutto perché la passata stagione ha raccontato in maniera ben chiara come nulla sia scontato o dovuto. I Celtics sono stati la squadra più disciplinata in termini di strategie in tempi recenti (anche se alcuni hanno tacciato Ainge di un eccessivo attendismo); hanno avuto un piano e l’hanno seguito fino in fondo. Eppure non ha mai goduto dei frutti di quel lavoro dietro le quinte, causa infortuni e una chimica di squadra mai trovata.
E’ difficile immaginare questa nuova versione dei Celtics (probabilmente diversa anche in campo, nelle parole di Stevens il primo giorno di training camp: “Faremo delle cose diverse sia in attacco che in difesa rispetto al passato”) davanti a squadre con maggiore vissuto comune e più sicurezze come Milwaukee e Philadelphia, almeno sin da subito. Ma sarà curioso capire come tutta la franchigia affronterà il nuovo corso generale, l’eco delle prime difficoltà dell’epoca Stevens e in che modo riuscirà a riorganizzarsi.
Immagine in evidenza: © Bleacher Report NBA, Twitter
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