Dopo i Denver Nuggets che ci hanno provato lo scorso anno, sono gli Washington Wizards la squadra NBA decisa ad accettare la sfida e provare a rimettere in carreggiata la carriera di Isaiah Thomas. Solo due anni fa, il nativo di Tacoma faceva il bello e cattivo tempo dominando, letteralmente dominando, per i Boston Celtics. Il piccolo grande uomo mandava in archivio una stagione da 28.9 punti a partita indossando non solo la maglia, ma l’identità di una franchigia che sembrava essere sua. E di fatto lo era.
Nell’ultimo ventennio solamente Allen Iverson aveva attaccato il ferro e fatto a fette le difese con tanto cuore e sfrontatezza, potendo disporre di un fisico simile. Senza paura. Senza compromessi.
Quella stagione commovente, per motivi tecnici e non solo (Isaiah perde la sorella Chyna in un incidente stradale durante i playoff), si concluderà con l’eliminazione per 4-1 nella finale della Eastern Conference contro la Cleveland di LeBron. Una serie che Thomas giocherà a mezzo servizio, limitato da un’infortunio all’anca destra a due sole partite per un totale di 56 minuti sostanzialmente ininfluenti.
L’epilogo non cancella in ogni caso lo svolgimento della trama, che racconta di un’annata da 53 vittorie di squadra e in cui la stella dei Celtics segna per quattro volte almeno 40 punti e in un’occasione supera quota 50.
Three years ago, @isaiahthomas dropped 53 PTS in an emotional playoff win over the Wizards.
Now, he'll be heading to D.C. (via @NBATV)pic.twitter.com/4b5vyNPmi7
— NBA on TNT (@NBAonTNT) July 2, 2019
Oggi, fa effetto pensare che dal maggio 2017 di quell’Isaiah Thomas sia rimasto ben poco. Ed è ancora più impressionante come nel giro di pochi mesi lo status tecnico ed economico e la percezione di chi è parte del mondo NBA, possa completamente ribaltarsi quando si trova a fare i conti con la sua inesorabile durezza.
Quando in estate i Celtics decidono di scambiarlo con i Cavaliers per Kyrie Irving, Thomas è infortunato, a un anno dalla scadenza del contratto e un giocatore molto particolare da collocare in un contesto di squadra. La combinazione di questi fattori gioca del tutto a suo sfavore e innesca un domino incontrollabile; vissuta tra Cleveland e i Los Angeles Lakers (dove approda complice un nuovo scambio a febbraio), la stagione 2017-2018 assume così i contorni di un risveglio drammatico dal sogno di pochi mesi prima.
Di colpo Thomas si trova ai margini dell’NBA dopo esserne stato al vertice, scaricato anche dalla squadra che lo aveva accolto direttamente da Boston. La conseguenza di uno dei più repentini turnaround che la Lega ricordi è scontata: addio al rinnovo di contratto al massimo salariale. “Lo capisco, ma non lo accetto. Molti giocatori si infortunano e vengono comunque pagati molto”, il suo sfogo in un’intervista su ESPN del luglio 2018. “Per me è capitato nel momento sbagliato. Tutti sapevano che avrei dovuto avere il massimo salariale, ma mi sono infortunato e non l’ho avuto”.
Il desiderio di mostrare al mondo di saper giocare ancora ad alto livello lo spinge ad accettare (in assenza di altre valide alternative) la proposta dei Denver Nuggets. Un anno di contratto. Minimo salariale. Ripartire da così in basso fa male, ma è l’unica strada possibile. E la mano tesa di cui aveva bisogno arriva proprio da chi lo aveva lanciato sul parquet ai tempi di Sacramento: coach Mike Malone.
L’incrollabile forza di volontà e fiducia in sé stesso, però, non sono sufficienti. Gli ostacoli che separano Thomas dal completo ritorno restano numerosi, a cominciare dai cronici problemi all’anca, che gli consentono di debuttare solo il 13 febbraio passando per logiche di squadra ben consolidate in una fase già avanzata di stagione. Malone sceglierà allora di toglierlo dalle rotazioni di lì a poco ponendo fine all’esperimento di recupero.
Prima di firmare per Denver, sempre a ESPN, l’ex Boston Celtic raccontava: “Questa è una battaglia che nessun’altro ha dovuto affrontare. Nessuno. Per me ora non conta partire titolare o dalla panchina, ma far vedere che so ancora giocare. Una volta che le persone se ne saranno accorte non potranno tirarsi indietro la prossima estate”.
Ed eccola qui, la “prossima estate” di cui parlava dodici mesi fa Thomas. Ancora una volta le cose non sono andate secondo i piani e l’anno con i Nuggets, quello del teorico reinserimento nel mondo NBA, non ha cambiato di molto la sua situazione contrattuale.
IT is D.C.'s newest PG. 🔥 pic.twitter.com/DHMjsiEUB7
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Ma più che un accordo pluriennale, più dei soldi, Isaiah cercava una chance. Una sola. Sono gli Wizards ad offrirla. “L’anno scorso nessuno sapeva cosa aspettarsi dopo l’operazione all’anca. Adesso invece posso tornare ad essere un topo da palestra, lavorare sul mio gioco e il mio corpo. Tornare quello che ero nel 2017”.
La storia NBA o, ancora di più, la storia dello sport è piena di ascese inarrestabili e pesanti cadute. Di infortuni che portano intere carriere a deragliare e sliding doors destinate a cambiare la vita di chi le attraversa. Le vicissitudini di Isaiah Thomas entrano senza sforzo nei piani alti della classifica dei più grandi what if? di sempre, sebbene sia ancora presto per stampare nero su bianco la parola ‘fine’ nel suo incredibile romanzo.
Perché se sei alto un metro e settantacinque, sei stato chiamato con l’ultima scelta al Draft, hai dovuto superare prove di fiducia interminabili e hai comunque raggiunto la vetta, ricominciare da zero può essere tremendo. Frustrante. Avvilente. Ma non impossibile. Il massimo salariale non arriverà mai più, ma l’uscita di scena, nella testa di IT, può ancora attendere.
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