Trovare anche solo un motivo per guardare una partita dei New York Knicks degli ultimi anni ha sempre richiesto una buona dose di impegno. Porzingis a parte, certo; l’unica vera ragione di speranza passata dal Madison Square Garden di recente e poi deragliata causa infortunio e scarso feeling con la dirigenza, in perfetto stile blu-arancio.
Dopo aver premuto in estate il tasto ‘reset’ e innescato l’ennesima ricostruzione, con coach David Fizdale alla guida, si può dire che nel roster di quest’anno gli unici motivi di interesse fossero legati a Frank Ntilikina e la prima scelta al Draft Kevin Knox.
Il primo ha però mancato il salto di qualità al suo secondo anno, dopo un buon debutto la passata stagione che ha evidenziato del potenziale soprattutto in difesa. Conseguenza in parte degli infortuni (solo 43 partite giocate) e in parte di un adattamento che stenta ancora ad arrivare. Migliore invece l’impatto di Knox, considerando il contesto che lo circonda. L’ex Kentucky ha vissuto un primo anno discreto, addirittura con un mese di dicembre a 17.1 punti di media. E’ ancora presto per inquadrarlo a lungo termine ma il talento c’è (la difesa molto meno) e al momento suona come una scelta positiva per i Knicks. Non l’unica dell’ultimo Draft, tra l’altro.
Con la seconda in proprio possesso New York sceglie infatti tale Mitchell Robinson, centro a là DeAndre Jordan se volete un paragone facile, pescato col numero 36 al secondo giro. Non servirà molto a Fizdale per realizzare di avere di fronte un giocatore maturo e pronto ad avere impatto, tanto è vero che sarà lui a emergere nella desolazione tecnica generale fornendo un buon motivo per sintonizzarsi su una partita dei Knicks senza sentirsi troppo in colpa. A generare interesse e affezione per il lungo col 26 sulla maglia, aiuterà poi la serie di 29 partite in fila con almeno due stoppate a referto di cui sarà protagonista, per una media di 2.4 in stagione: roba per pochissimi rookie nella storia della Lega (Theo Ratliff è il titolare del record con 32 gare consecutive).
Non gioco più, me ne vado
Nel raccontarne l’avvicinamento al basket NBA l’aspetto tecnico arriva però in un secondo tempo. Poco prima del suo sbarco nei pro infatti, Robinson è protagonista di un episodio senza eguali nella storia dei college d’America.
Uscito dall’high school come prodotto di Chalmette, Lousiana (giocando nella stessa palestra che fece da sfondo al film di culto Glory Road), si promette a Texas A&M perché lì allena da assistente Rick Stanbury, che lo recluta. Lungo la strada verso il basket universitario Robinson infila un paio di retromarce mica da ridere. La prima: quando Stanbury accetta il posto da head coach di Western Kentucky Robinson non ci pensa un attimo e lo segue sulla fiducia. Tempo due settimane (ecco la seconda) e al campus, del ragazzo, neanche l’ombra. Dopo aver dato buca a un allenamento programmato, lo staff della squadra si attiva per cercarlo. Dileguato.
La stanza liberata al campus è un indizio fin troppo chiaro sull’ipotesi di fuga volontaria. Motivo? Varie tesi sul tavolo. In vetta alla classifica quella che vuole l’attuale idolo (!) del Garden risentito per l’allontanamento del nonno, tale Shammond Williams, dallo staff della squadra. Coach Stanbury fa spallucce, conta la squadra dice. Sacrosanto.
Con in tasca il via libera verso altri lidi, Robinson flirta con Lousiana State, Kansas e University of New Orleans ma non se ne farà nulla. Anche perché, ennesimo colpo di teatro, a fine agosto torna a Western Kentucky. “Qui è dove voglio essere” fa sapere. Ci credono tutti, dal coach ai compagni. Tranne lui. Che a metà settembre risaluta e annuncia di volersi allenare da solo in vista del Draft NBA.
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Robinson avrebbe dovuto dare lustro al programma universitario dall’alto dello status di All-American, che dalle parti di Western Kentucky non si era mai visto prima nel team di basket, e di numero 9 assoluto fra i migliori giocatori del paese nel 2017. Facile intuire che l’epilogo della vicenda fu un discreto colpo per le ambizioni sportive dell’ateneo.
Sta di fatto che una volta trasferitosi a Dallas con mamma Lakesha, il nativo di Pensacola, Florida inizia il suo programma di allenamenti personali sotto l’occhio di un preparatore di fiducia: obiettivo Barclays Center di Brooklyn. Lì il 21 giugno scorso Robinson viene scelto dai New York Knicks. L’evento rappresenta un’assoluta novità perché nessun giocatore prima d’ora, ufficialmente reclutato dall’università, aveva poi scelto di abbandonarla per prepararsi da solo al basket pro.
Block Party
Vicende collegiali ed extra a parte, sul parquet il ragazzo si sa muovere. Siamo alle basi del ruolo però. Alle spiccate doti atletiche che ne fanno un difensore di alto livello (stoppate a volontà come detto), Robinson unisce l’a-b-c del lungo con mano poco educata per sopravvivere in attacco: saltare, ricevere, schiacciare.
Stoppate dicevamo. Bene, alla Summer League di Las Vegas nessuno ne fa più di lui in media a partita, 4, a cui aggiunge 13 punti e 10 rimbalzi durante la rassegna. Coach Fizdale, che senza essere un indovino ha una mezza idea di come andrà l’anno coi Knicks, non sembra dispiaciuto di mettere almeno le mani su un profilo del genere: “Sarà un progetto divertente, lo garantistico. E’ atletico, non ce ne sono molti come lui, e ha un bel feeling per il gioco”, fa sapere al New York Post.
Sì, feeling ne ha e lo dimostra anche quando si fa sul serio da ottobre in poi. L’11 novembre regala 9 stoppate contro gli Orlando Magic stabilendo un record per un rookie con la maglia dei Knicks. Poi, di nuovo contro i Magic a febbraio, fa registrare la sua miglior prestazione complessiva: 17 punti, 14 rimbalzi, 6 stoppate e 3 recuperi; New York vincerà la partita. “Voglio stoppare sempre più tiri”, dirà alla sirena finale. “E voglio vincere il premio di Difensore dell’anno un giorno, è il mio sogno”.
Di grandi stoppatori ce ne sono stati e ce sono anche oggi in NBA ma pochi come Robinson arrivano a stoppare il tiro fino alla linea dei tre punti. Sia deviandone la traiettoria pochi attimi dopo aver lasciato le mani del tiratore, sia bloccando proprio il rilascio della palla; non è un caso che nessuno abbia stoppato più tiri da tre di lui, ben 24.
Se nella prima metà di stagione erano emerse soprattutto le qualità difensive – la capacità di cambiare sui pick and roll senza pagare dazio, la combinazione di verticalità e apertura alare – con il nuovo anno Robinson ha iniziato a incidere anche in attacco, mentre si trovava più a suo agio col passare delle partite. Così, dopo aver segnato in doppia cifra solo quattro volte dalla prima palla a due stagionale, da gennaio il centro ha superato quota dieci punti in diciassette occasioni e nella gara contro i Toronto Raptors del 28 marzo ha ritoccato i career-high per punti e rimbalzi con 19 e 21 rispettivamente. Il suo anno da rookie va in archivio con un dato interessante: in totale Robinson ha più stoppate che tiri sbagliati.
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Le sensazioni di coach Fizdale emerse durante i primi incontri alla Summer League si sono rivelate corrette. Specie per quanto attiene alla maturità del giocatore, talmente marcata da meritarsi l’appellativo di Mr. Robinson in spogliatoio; iniziativa partita proprio dal suo allenatore: “Lo chiamo così perché sono rimasto impressionato dalla sua maturità. E’ ancora giovane ma dal suo approccio e dalla voglia di competere non lo dimostra. Allora ho iniziato ad aggiungere ‘Mister’ davanti al suo nome”.
La base del futuro
Incredibile ma vero: pure in una stagione disastrosa i Knicks sono riusciti a pescare un inaspettato coniglio dal cilindro. Perché vi chiedete? Beh, perché sono i Knicks, appunto. Ritenerlo però solo un colpo di fortuna sarebbe ingiusto; per una volta si può dire che il front office (nelle vesti del presidente Steve Mills e del General Manager Scott Perry) non ha avuto paura e si è fidato del pacchetto che Robinson aveva da offrire, senza farsi troppo condizionare dalla sua scelta – certamente singolare – di abbandonare subito il college prima del Draft.
A prescindere da quale forma assumerà la squadra dopo la free agency estiva (si parla con insistenza di un possibile arrivo di Kevin Durant e di un altro giocatore top, forse Kyrie Irving) Robinson è destinato a far parte dei piani della franchigia, almeno fino al termine del suo contratto da rookie. Un giocatore dalle caratteristiche così marcate è infatti ciò di cui ogni squadra contemporanea ha bisogno; poterselo godere è un lusso che New York non deve sprecare. Sarà la volta buona?
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