Basket

The Greatest Of All Time: His Airness

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La grandezza del 23.

Come volete chiamarlo: MJ? His Airness? Air Jordan? O semplicemente, Mike?

Nel corso del tempo nomignoli e aggettivi si sono sprecati nel tentativo spasimato degli appassionati di descriverlo nel modo più completo possibile con una parola.

Michael non è uno di quegli uomini (ancor più che sportivi) da essere categorizzato con una fredda e mera parola.

La sua vita (non solo la carriera), parla da sola.

Sin dai tempi del college, la sua ascesa non fu così lineare come molti possono supporre. Ha dovuto sempre superarsi, lottando, sudando. Il suo impegno per emergere è stato più grande pure se messo in confronto al suo immenso talento.

Anche quando tutto stava andando come neanche i suoi sogni potevano ipotizzare, la carriera di Mike, dopo il terzo anello consecutivo del ’93 (primo dei due three-peat con i Bulls) fu stroncata da una tragedia familiare, la morte di suo padre, assassinato in autostrada da due criminali che avevano l’intento di rubargli la macchina, quest’ultima regalata proprio da Michael. Lo strazio fu talmente pesante da portarlo a ritirarsi.

Queste furono le sue parole:

“Ho perso ogni motivazione. Nel gioco del basket non ho più nulla da dimostrare: è il momento migliore per me per smettere. Ho vinto tutto quello che si poteva vincere. Tornare? Forse, ma ora penso alla famiglia.”

Ma Jordan, come è stato appena detto, era un grande uomo ancor prima che sportivo (che alla fine, è ciò per cui è contraddistinto).

Ritornato nel ’95, dopo una brevissima esperienza nel Baseball (lo sport preferito di suo padre), indossando per metà stagione la canotta n.o 45 (la 23 era stata momentaneamente ritirata), riportò la compagine della “Windy City” ai piani alti della lega, terminando la sua corsa però alle Semifinali di Conference; Chicago venne eliminata ai play-off dagli Orlando Magic (futuri campioni) e, proprio in una di queste gare, Jordan commise alcuni errori decisivi, tra cui una palla persa durante l’ultimo minuto di gioco che causò la sconfitta; il giocatore dei Magic Nick Anderson, in un’intervista, parlò del numero 45 dei Bulls come di un giocatore forte, ma non quanto il 23, che era paragonabile a Superman.

Cio’ bastò per ferirlo nell’orgoglio.

Risultato? Dalla stagione seguente, ripresa la mitica 23, domino’ la lega insieme all’inseparabile compagno Scottie Pippen e al Bad Boy Dennis Rodman fino al ’98, firmando il secondo three-peat nella decade.

Nessun giocatore, a livello di impatto e importanza, è mai riuscito e mai riuscirà a raggiungere Jordan.

Don’t mess with the GOAT.

Tommaso Palazzo

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